A partire dal testo di Carla Urbinati

Il testo di Carla Urbinati e del suo Riccardo (European Journal of Psychoanalysis, https://www.journal-psychoanalysis.eu/articles/autismo-traiettorie-di-cura-con-la-psicoanalisi/) mi ha rapita anche perché ho letto – realizzato nell’esperienza e raccontato nel dettaglio, con freschezza e immaginazione – ciò che mi è capitato di pensare, poi di dire e di pubblicare, qualche anno fa, in un librino dal titolo Bambini senza mistero. Mi riferisco, in particolare, a quel capitolo che ho titolato con uno slogan irriverente forse, ma irrinunciabile secondo me: “Il bambino autistico non esiste” [1].

In effetti la Urbinati ci informa subito del suo conflitto intorno all’ipotesi se dichiarare o meno ai genitori di Riccardo la diagnosi di autismo del figlio. Si interroga – l’analista – e dubita, ma sceglie di non farlo. Il che in tempi come i nostri, sballottati come sono tra trasparenza e consenso informato, è già un piccolo miracolo etico da parte di chi si accinge ad affrontare un viaggio così complesso con un bambino così piccolo e così ermetico.

Del resto, secondo me, forse è proprio a partire da questa sua intelligente rinuncia a comunicare la diagnosi, che la Urbinati riesce a decollare, in compagnia di Riccardo, verso un mondo ‘senza scorta’. Un mondo dove, chiusi in una stanza, lei e il bambino si mettono a rischio: lei di inventare, immaginare, tentare, lui semplicemente (e non è poco) di restare… senza fuggire.

A tale riguardo, può valer la pena aprire un breve inciso su che cosa ritengo sia diventata la diagnosi, con l’andare del nostro tempo protocollare e indifferente all’inconscio, quando viene applicata alle vicissitudini ‘mentali’ di un soggetto. Credo che nella sua qualità di puro enunciato, la diagnosi sia utile a fare ordine nel numero sempre più puntiforme dei sintomi psichici. Viceversa mi sembra che, nei suoi effetti di enunciazione (e mi riferisco all’atto stesso di comunicarla), la diagnosi sia diventata progressivamente una via di fuga. In altri termini, un pretesto per evitare le grandi oscurità e difficoltà di un libero lavoro di ascolto.

Fior di neuropsichiatri, psicologi e psicoterapeuti, come del resto fior di pazienti, si aggrappano alla classificazione diagnostica come fosse una stampella identitaria.

A ben riflettere, infatti, la diagnosi offre – codificata e riconoscibile – l’illusione di un’identità chiara ed evidente. E la offre sia al curante che al curando. Scompaiono così, grazie a essa, molti degli interrogativi più complessi e delle necessarie ombre che potrebbero farsi strada nell’animo dell’uno come dell’altro stimolando così il contributo dell’incertezza e del dubbio per avviare una ricerca audace … senza garanti e senza garanzie.

È in questo quadro che il testo della Urbinati mi appare un saggio di cura analitica centrata sull’ascolto dell’altro, dove ogni forma di attività speculativa sull’autismo, pur non essendo carente, resta, almeno nel corso di quegli incontri, invisibile. E in tal modo non grava sul mistero di quel bambino, mistero che rimane inviolato almeno fino a quando è consentito, a noi lettori, seguirne le tracce.

Inoltre penso che la rinuncia alla comunicazione iniziale della diagnosi sia stata preziosa non solo nei confronti di Riccardo e dei suoi genitori, lasciati liberi dal peso di uno stigma medico-sociale vincolante, ma anche per l’analista se (come pare) se ne è interiormente disfatta, almeno ogni volta che Riccardo era lì con lei. E lei, smesso l’abito talare del terapeuta, non aveva più altro appiglio se non l’ascolto di un bambino quasi muto, preda di un appello a lui stesso completamente ignoto.

Mi chiedo invece perché, alla fine – proprio quando il bambino aveva dimostrato, grazie al grande impegno suo e della sua analista, di non coincidere con alcuna prigionia diagnostica – la Urbinati non abbia resistito alla sirena del DSM che ha sempre più la pretesa di non risparmiare nessuno.

Comunque – a parte questo snodo dal mio punto di vista di breve caduta di quella magnifica tensione che la Urbinati ci ha donato con l’esposizione della sua esperienza – resta per me il fatto che Riccardo emerge da queste pagine come un modello: quasi il nucleo essenziale dell’essere umano sia all’alba che al tramonto della vita.

Ebbene: proprio su tale linea, desidero sottolineare il fatto che qualunque bambino ha la necessità vitale di non perdere il proprio mistero. E allora diventa nostro compito fondamentale non violarlo, cercando di rispettarlo a qualsiasi costo.

Rispettare il mistero di ciascun bambino equivale a rendere onore a ciò che non si riesce a controllare e non è dato sapere. Rispettare il suo mistero significa non cedere al regime ermeneutico e sanitario che pervade le nostre esistenze, mantenendo invece quanto più a lungo possibile un atteggiamento interiore improntato allo stupore e alla meraviglia, lasciando che emerga in noi la posizione di un’anima che sa di non sapere chi sia quel bambino; la posizione di un’anima, quindi, che si dispone a vigilare sulle sue incognite … su quei luoghi inesplorati che hanno bisogno di restare tali senza subire effrazioni di senso.

Ogni bambino (come, del resto, ciascuno di noi) desidera custodire uno spazio inviolato e custodirlo a suo modo. Ed è in quel peculiare, diverso modo di ciascuno che sono nascoste le sue ombre, i suoi paradossi … persino la sua felicità e il suo dolore.

Di conseguenza per rispettare l’intangibilità di un bambino bisogna rinunciare a soddisfare, con risposte pragmatiche e incessanti, tutte le domande che ci opprimono. Risposte caldeggiate da un diffuso sapere perverso … che, oggi come non mai, imperversa.

Dal canto mio, perciò, contesto la definizione di bambino autistico, perché credo sia, prima ancora di una diagnosi medica, il risultato di una profanazione. E, nella fattispecie, di una profanazione operata dall’angoscia nei riguardi del bambino e in particolare di quel bambino. Mi riferisco all’angoscia verso il suo incompreso silenzio, la sua indecifrata solitudine, il suo sguardo sfuggente e verso quell’Altrove in cui vive e che ci impedisce di sfiorare.

Il che (secondo me) vale anche se una simile diagnosi l’ha emessa uno specialista. La specializzazione infatti non penso sia un motivo sufficiente per avere fede nella sua inconfutabilità né, men che meno, nella totalità con cui una simile diagnosi avvolge un bambino … liquidandone la preziosa unicità.

D’altronde, sono sempre più rari gli specialisti in grado di incontrare qualcuno al di qua o al di là della propria specializzazione … cioè, nella fattispecie, di incontrare un piccolo essere misteriosamente sprovveduto, già condotto alla sentenza di malattia sui binari di una cultura medicale imperante.

Il bambino cosiddetto autistico, preliminarmente, è quello di cui non riusciamo a tollerare la deviazione dalla norma, la remota sprezzatura e l’enigma.

Il bambino cosiddetto autistico non è più un bambino, un singolo imperscrutabile bambino, ma diventa piuttosto il bambino, il bambino-sintomo per antonomasia: colui o colei che incarna tutto intero l’incubo dei suoi genitori, ma anche quello ipocondriaco della nostra civiltà.

Così dal momento in cui si trova inscritto nel campo stretto dello spettro autistico – tra batterie di test e indagini neurologiche – non c’è più quasi nessuno disposto a incontrarlo semplicemente come un bambino … come quel particolare bambino.

Ed è perciò che metto l’accento sul fatto che, prima di essere inquadrato in una serie diagnostica, ogni bambino è un essere umano irripetibile e come tale non classificabile. E irripetibile, non classificabile, anche dopo la diagnosi, dovrebbe restare.

Inoltre, prima che la dislocazione particolare dei suoi neuroni cerebrali diventi il suo unico tutto, condannandolo a un bombardamento di tecniche d’intervento e di configurazione ottimale, appuntate sul suo povero essere … ebbene prima di tutto questo (ma preferisco dire al posto di tutto questo) non va dimenticata o trascurata nemmeno per un attimo la sua incomparabile singolarità.

Ogni vita che inizia, infatti, è il frutto di molte altre vite, elaborate e, in modo imprevedibile, simultaneamente perdute da quell’unico piccolo corpo e da quella sua unica indecifrabile anima.

Così prima che l’omologazione consumistica, televisiva, medicale e digitale trionfi su di loro, slavandone le singole peculiarità in un insieme uniforme di virtù, di epopee e difetti, … i bambini – alla nascita – ci regalano, ancora e anche, la possibilità di immaginare l’ignoto.

E con ignoto intendo un mondo nel quale la parola sia consacrata alle vicissitudini dell’alterità, quindi alle ombre, ai silenzi, ai vuoti, alle difficili attese e ai giudizi sospesi. Insomma: un mondo dove ogni alba abbia ancora un giorno desiderabile e sconosciuto da illuminare.

Ecco che in questo testo Carla Urbinati e il piccolo Riccardo, insieme, ci offrono la magia di un ascolto, di un altro ascolto, dove storie incrociate di presenti e di antiche genealogie, di fili ignorati o magari spezzati riescono a tessere lentamente i fantasmi e le memorie sia di un piccolo, enigmatico, essere che di chi ha scelto la cura di sé e, solo suo tramite, si accosta con rispetto alla cura di un altro.

Data:

01/12/2022

Note:

[1] G. Ripa di Meana, I nuovi figli – Dal disagio nella civiltà al suo oltraggio, Polimnia Digital Editions, 2019 [p. 78-81]

Alcune informazioni sull'autrice:

Gabriella Ripa di Meana, psicanalista e saggista, è nata nel 1946 a Roma dove ha iniziato la sua pratica analitica a partire dai primi anni Settanta.

Ha pubblicato vari libri sul soggetto e sul sintomo nella civiltà contemporanea, volti a testimoniare la modernità e la necessità dell’esperienza e del concetto d’inconscio, nelle sue diverse declinazioni.

Dalla metà degli anni Ottanta tiene un seminario aperto a un pubblico pluridisciplinare di amici della psicanalisi che continua tutt’oggi nel borgo della maremma toscana (Campiglia Marittima) dove dal 2013 vive e lavora.

Negli ultimi dieci anni la sua attività clinica si è svolta quasi esclusivamente via Skype, passaggio al quale si è dedicata, sia clinicamente che teoricamente, in modo pionieristico (v. «Non è stata la pandemia …», L’inconscio. Rivista Italiana di Filosofia e Psicoanalisi, 11, 2021).

Dal 1995 a oggi ha pubblicato numerosi articoli e quattordici libri per diversi editori (Astrolabio, Nottetempo, Bulzoni, Liberal Libri, Biblink editore, Polimnia Digital Editions, Jessica Kingsley, Springer Nature e Fordham University Press).

Il suo libro più recente è L’altro ascolto – tempi di virus, Astrolabio, 2022.

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