Amerigo
Che qualcuno possa credere che sia mai esistita una psicoanalisi americana, monolitica e coerente, è ridicolo per quelli di noi che hanno lavorato in questo contesto caotico. Il quale è stato frammentato e controverso per decenni. Darian Leader ha certamente ragione nel sostenere questa visione più sfumata della scena americana e nel domandarsi a cosa si riferisca la caricatura lacaniana della psicoanalisi americana.
Il fatto che sia esistito un cosiddetto periodo classico della psicoanalisi americana dagli anni 1930 fino alla fine degli anni 1960, un periodo durante il quale occupò una posizione dominante sia nell’IPA che nell’APsA (American Psychoanalytic Association) una certa scuola con sede a New York ma di ispirazione viennese, che faceva capo a H. Hartmann e A. Freud, ma anche a Charles Brenner e Jacob Arlow, può oscurare le molte e continue sfide a questa egemonia, che stavano avanzando. Dove ci sono cancelli, ci sono barbari, e la scena psicoanalitica americana è sempre stata definita da entrambi. Certo, ci sono stati degli sforzi tesi sia a definire che a dettare un certo punto di vista ortologico come fanno ovunque le scuole, ma come al solito questi erano direttamente proporzionali al dissenso.
L’American Psychoanalytic Association aveva un’autonomia unica all’interno dell’IPA derivante da un accordo del 1938 tra le due associazioni che preservavano e proteggevano il carattere esclusivamente medicodella psicoanalisi ufficiale (APsA) negli Stati Uniti e con ciò un certo conservatorismo intellettuale per i successivi 50 anni, fino a quando non fu costretta a riformarsi per ordine del tribunale nel 1988. Tuttavia, sebbene questa uniformità ufficiale avesse un effetto alquanto soffocante all’interno dell’ApsA, essa non impedì che un diverso lavoro psicoanalitico continuasse al di fuori degli istituti dell’ApsA.
Per prendere solo un esempio citato da Darian Leader, quando Eric Fromm pubblicò i suoi libri che risultarono popolari negli anni ’60, ammorbidendo il pessimismo mitteleuropeo della vecchia scuola con la speranza di un progresso sociale umanistico, egli non rappresentava l’accademia. Il suo approccio e dii certo l’istituto a cui era affiliato a New York (W.A. White) erano entrambi fuori dai confini accademici in quel momento. Il dibattito con Herbert Marcuse sull’importanza di un modello pulsionale per la teoria del soggetto aveva poco a che fare con le istituzioni cliniche ma piuttosto con una psicoanalisi intellettuale che si sviluppava al loro fianco su un altro binario, e che aveva legami con la teoria sociale marxista e la questione dell’agire politico radicale nel tardo capitalismo. Come questa “teoria critica” della soggettività potesse avere un impatto all’interno dei confini dell’autorità clinica non era una questione di cui parlava a quel tempo. Forse è in questo contesto che si discuteva la questione del “culturalismo”, ma non c’è motivo di ritenere che fosse un dibattito spiccatamente americano, poiché era iniziato anni prima a Vienna e non era certo particolarmente attivo all’interno degli istituti a orientamento medico.
Comunuque, , il fatto che ci fossero molti psicoanalisti attivi che erano già orientati nella loro pratica a questo tipo di dibattiti stava già generando delle linee di frattura che presto si sarebbero percepite nelle società dominanti.
Dieci anni dopo i barbari si trovavano all’interno delle porte. The Impossible Profession(1977) di Janet Malcolm era un rapporto sugli sforzi disperati fatti per ripristinare e mantenere i bastioni dopo che erano stati violati dalla Self Psychology. Che la terminologia di Sé vs Ego indicasse un problema nella teoria del soggetto, è emerso ora, 50 anni dopo, sulla scena americana. L’attuale lavoro di Morris Eagle (2021), Toward a Unified Psychoanalytic Theory: Foundation in a Revised and Expanded Ego Psychology, affronta proprio la questione del soggetto diviso nei capitoli conclusivi in modi che sono immediatamente rilevanti per le vecchie, ma attuali, prospettive lacaniane su questa questione.
Social Amnesiadi Russel Jacoby (1973) aveva sollevato decenni fa la questione della teoria del Soggetto per la psicoanalisi, sebbene più da una prospettiva di tradizione hegelo-marxista. L’attuale interesse in America per l’opera di Lacan e di Laplanche è dovuto in gran parte al tardivo riconoscimento del fatto che da sempre si sono occupatidell’idea psicoanalitica del soggetto in modi che potrebbero rivelarsi preziosi per questi dibattiti di lunga data entro la scena americana.
Ma forse è in gioco qualcos’altro, poiché entrambe le parti nello scambio tra Darian Leader e gli editori di Essaim sembrano sapere che non c’è mai stata una psicoanalisi americana in quanto tale. Sostengono di riconoscere l’effettiva diversità dominante, eppure la scena americana in qualche modo li affascina ancora. Cos’è questo mito “americano”? Non siamo propensi a parlare della psicoanalisi britannica in quanto tale, ma piuttosto della teoria delle relazioni oggettuali britanniche o dei kleiniani britannici, ecc. Esiste una psicoanalisi francese? Ogni tentativo di definirla affronterebbe immediatamente gli effetti divisivi di Lacan. Eppure, in qualche modo, pur sapendo altrimenti, l’idea di una psicoanalisi americana riemerge ancora una volta. Cos’è questa America nella psicoanalisi americana?
Quando l’IPA ha concesso l’autonomia all’American Psychoanalytic Association è stato in parte perché la pratica professionale della psicoanalisi aveva un grande successo negli Stati Uniti, mentre era ancora piuttosto marginale nella maggior parte degli altri paesi. Negli anni ’50 e ’60, quando Lacan lanciò le sue frecciate, la scuola di psicoanalisi di New York era davvero una forza dominante all’interno dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale e quel dominio sortiva i suoi effetti immaginari. Ho incontrato analisti francesi (lacaniani) a New York nei primi anni ’80 che pensavano ancora che Manhattan fosse la capitale della psicoanalisi tradizionale e che speravano di poter finalmente dare un’occhiata più da vicino a questa bestia mitica, che appariva loro sia orribile che attraente. Successivamente, è stato poi l’effetto Woody Allen a non aver portato molto bene alla psicoanalisi americana. Quel mito influenza ancora questo dibattito?
C’è da considerare anche il discorso secondo cui gli Stati Uniti sarebbero forza trainante del tardo capitalismo e quindi il luogo in cui le nuove scienze e tecnologie sono più influenti nelle formazioni sociali. C’è qualcosa di questa nozione nelle osservazioni storiche di Leader su Lévi-Strauss a New York, la conferenza Unesco e i progetti di ricerca di H. Hartman e D. Rapaport. Possiamo anche screditare una certa rigidità ideologica, ma non dobbiamo sottovalutarne il potere: l’America in quanto forza tecnologicainevitabile. I progetti di ricerca sullo sviluppo psicoanalitico del bambino sono andati avanti sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti. Anna Freud e Hartmann hanno fondato insieme la rivista Psychoanalytic Study of the Childanche se era pubblicata a New York. È questa l’America che ancora ci confondequando tentiamo di dare alla psicoanalisi un posto tra le scienze?
Eppure, ricercatori come l’ungherese Margaret Schönberger Mahler, che ha fondato il Masters Children’s Center a New York nel 1950 sia per curare che per studiare la psicosi nei bambini, erano in realtà al di fuori sia dell’egemonia dell’establishment psicoanalitico che della psicologia infantile accademica. Che i suoi studi abbiano affrontato questioni riguardanti la formazione del soggetto è un altro esempio di come il divario ideologico potrebbe essere fruttuosamente superato.
Sfortunatamente, lo scambio editoriale sul saggio di Leader si arena in un clima polemico. Se lasciamo da parte la battaglia territoriale, ciò che conta sono le questioni di fondo che hanno in passato – e continuano nel presente – ad alimentare i dibattiti che si svolgono negli ambienti psicoanalitici sia negli Stati Uniti che altrove, dibattiti sul concetto di io, sulla divisione del soggetto, sull’Io inconscio, sulle strutture discorsive relazionali. Dibattiti che Lacan stava affrontando nel corso del suo insegnamento, ma che negli Stati Uniti si stavano svolgendo in altri modi, alcuni segnalati da Leader. Che attualmente questi dibattiti negli Stati Uniti stiano finalmente prendendo in considerazione i contributi di Lacan è ciò che conta, almeno per quanto riguarda la trasmissione della psicoanalisi.Quelli di noi che negli anni ’70 e ’80 hanno visto per la prima volta in Lacan una prospettiva acuta rispetto a quella che allora era la confusione della psicoanalisi in America, stanno finalmente vedendo come questo campo si stia espandendo con noi. Qui i giovani analisti di oggi sono interessati al lavoro di Lacan non perché egli abbia fondato una scuola con una pretesa esclusiva di verità, ma piuttosto perché riescono a capire come Lacan cercava di affrontare i problemi della divisione del soggetto, della dimensione traumatica del reale, del non-rapporto sessuale, che oggi incontrano e affrontano nelle rispettive scuole.
I punti sollevati da Leader, che potrebbero e dovrebbero essere costruttivamente dibattuti, sono attualmente rilevanti anche e soprattutto per la trasmissione della psicoanalisi a coloro che stanno entrando ora in questo ambito di studi e pratica clinica. È un’occasione persa se la discussione viene fuorviata, come è successo in questo caso, da una reazione difensiva a uno stile polemico.
Note e riferimenti:
Eagle, M. (2021) Toward a Unified Psychoanalytic Theory: Foundation in a Revised and Expanded Ego Psychology. New York: Routledge.
Jacoby, R. (1973/1996) Social Amnesia. New York, Routledge
Malcolm, J. (1977) Psychoanalysis: The Impossible Profession. New York, Jason Aronson.
Data:
11/12/2021