Appunti su casi clinici connessi alla Disforia di Genere
Su richiesta dei miei colleghi con i quali stiamo lavorando alla Disforia di Genere, provo a descrivere delle rapide vignette cliniche riguardo ai casi di adolescenti (e post-adolescenti) che mi sono arrivati a consultazione nell’ultimo anno (a parte una). Mi limito a cogliere le aperture delle consultazioni.
Le tematiche presentate non sono connesse al c.d. Transessualismo, argomento principe del dibattito sulla Disforia di Genere (DdG) in quanto direttamente connesso agli interventi ormonali e chirurgici richiesti per la trasformazione in età minorile. Non ci sono casi con intenzione di iniziare un percorso di transizione, ma segnalano alcuni aspetti riguardo alle soggettività sessuate contemporanee che mi fanno riflettere. I temi esposti riguardano la rappresentazione di forme di soggettività sessuate definibili da ragazzi/e come ‘non normali’, diverse dalla c.d. eterosessualità. Forse i casi non rientrerebbero nella casistica della DdG correntemente intesa, con le derivazioni etiche e legali conseguenti all’intervento sui corpi dei minori, ma in un altro senso possono essere assunti come ‘segnali’ significativi di una tendenza in atto tra gli adolescenti. Si potrebbe dire che sono casi connessi alla cultura Queer che si è diffusa.
Assumo quindi la definizione di DdG in un senso molto ampio, come ad esempio espresso dall’Istituto Superiore di Sanità: “La contraddizione tra il sesso biologico e l’identità di genere può condurre ad una condizione di profonda sofferenza, ansia, depressione e/o difficoltà di inserimento in ambito sociale, lavorativo o in altre importanti aree, chiamata appunto disforia di genere, così come definita nella quinta edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5)”. Considero il Transessualismo un suo caso particolare, come appunto segnalato dall’ISS: “Tale disagio riguarda, ad esempio quelle persone che decidono di intervenire sul proprio corpo per renderlo più simile a come si sentono attraverso trattamenti ormonali e/o chirurgici” (issalute@iss.it).
E’ da tener presente che tutti/e arrivano da me dopo due anni di Covid, ovvero di riduzione degli spazi di relazione ‘corpo a corpo’ che ritengo sia fattore importante, se non altro come una sorta di detonatore di una realtà preesistente.
In ultimo cercherò di raccogliere alcune mie riflessioni che tentano di mettere insieme delle linee interpretative che a me sembrano caratterizzanti.
(Non uso espedienti grafici riguardo al segnalare le varie identità di genere per semplicità)
Caso A.
A., 17 anni, maschio. Mi contatta inizialmente la madre per una sua difficoltà a frequentare la scuola: ritiro sociale. A. si descrive con “crisi di panico” ogni volta che deve uscire, non riesce più a frequentare la scuola dopo la didattica a distanza. Racconta che tutto è iniziato un anno fa, dopo aver subito una piccola operazione al viso (cauterizzazione durata pochi minuti) che gli ha procurato un intenso dolore. Da allora non si sente più sicuro quando esce. Mi chiede un farmaco per sedare l’angoscia, si dimostra molto esperto di farmacologia, conosce tutti i farmaci, specialmente psicofarmaci, gli effetti, le indicazioni e controindicazioni. Vorrà fare il farmacologo.
Mi appare da subito con atteggiamenti e modalità di eloquio che segnalano quello che comunemente è la positura “gay”, ma di questo non parla. Sarò io, dopo un po’, a chiedergli di parlarmi di sessualità. Di lì in avanti si apre uno spazio in cui A. mi racconta del suo essere stato stigmatizzato (non bullizzato, preso in giro nei corridoi) a scuola in quanto dichiaratamente omosessuale. In classe frequenta soltanto tre ragazze con le quali può essere se stesso, nessun altro. Mi dirà che a oggi non ha mai avuto esperienze sessuali di qualche tipo (neanche un bacio), si sente impedito, brutto, grasso, inadeguato (a me appare essere sicuramente un bel ragazzo). Mi parla della “sua amica” (Edy, maschio di 18 anni in transizione ormonale, con progetto chirurgico), unica persona con cui esce, ma i loro incontri poi si concludono con il rinunciare ad andare nei locali gay perché Edy è stanca, depressa e “ancora non pronta”, rimangono a casa di lei e si ubriacano. E’ stato “alcolista” fino a poco tempo fa, così mi dice.
Mi racconterà la sua storia, la scoperta del suo desiderio a 14 anni, poi a 16 la madre scoprirà dal suo cellulare che ‘chatta’ con gay e trans. Da qui il dramma familiare, ritiro del cellulare, impedimento ad uscire. A. mi dirà comunque che i suoi genitori ora lo accettano, “li ho educati bene”.
Mi chiederà un antidepressivo, ma mi segnalerà che secondo lui il farmaco più indicato è il Wellbutrin XL 150 mg (antidepressivo atipico di nuova generazione, inibitore del reuptake di Noradrenalina-Dopamina), in quanto, a differenza degli altri antidepressivi, viene pubblicizzato come non inibitore della libido. Accetterò questa sua auto-prescrizione (con suo stupore), gli farò avere la ricetta, inizierà la cura che dopo alcune settimane lo porterà ad avere i primi approcci con ragazzi incontrati nelle chat.
Caso B.
B., ragazza di 19 anni. Sarà il padre a prendere appuntamento per la figlia. Ciò che mi colpisce di B. è che non mi guarderà mai in viso, per tutti i cinque mesi in cui ci incontreremo settimanalmente. Si muove in modo goffo, da ‘pupazzetto’ (quando glielo dirò mi confesserà che forse è stata influenzata da un personaggio di un’animazione giapponese di cui era appassionata da bambina), si veste con abiti che le coprono il più possibile il corpo, con colori che vanno dal grigio al nero o marrone. La sua gestualità da pupazzetto è talmente accentuata che la rende teatrale, quasi esibizionista.
Parla timidamente ad un volume ridotto con un eloquio raffinatissimo, senza inflessioni dialettali, ricco di riferimenti colti. Mi dice che arrivare in seduta – per lei che abitando molto vicino al mio studio viene a piedi – è una sofferenza indicibile: esporsi alla strada, alla gente che incrocia, all’aria, ai suoni, al doversi presentare al ‘fuori’, è insostenibile. Lo stesso dolore la attraversa quando si deve recare all’università, ora che ha superato l’esame di maturità con il massimo dei voti. Anche lei a scuola si frequentava soltanto con due compagne, G. e MG., anche loro “sfigate”, coltissime, le prime della classe con lei, considerate delle “secchione” anche se non era vero: “loro già sanno tutto, non hanno bisogno di studiare dieci ore al giorno come faccio io per avere ottimi voti”.
Mi parlerà di G., sparita da due mesi dai contatti sul web, del suo essere preoccupata per lei perché “depressissima”, con pensieri suicidi. Mi accennerà di sfuggita che G. è queer, del loro sentirsi tutte e tre “non etero”, ciò che le accomuna nella loro diversità. Anche MG. non esce quasi mai di casa, anche se lei “ha più coraggio a buttarsi nella mischia, ogni tanto ha delle ‘storie’ estemporanee”.
- porta come sintomo cosciente la sua depressione, il suo non sentirsi collocabile nel mondo. I ragazzi e le ragazze della sua età, quelli “normali”, le sembrano estranei – superficiali, consumisti, frivoli, poco intelligenti – ma comunque invidiati “perché loro stanno bene nel mondo”. L’unico suo rapporto con l’esterno è la frequentazione di un gruppo di volontariato di tradizione cattolica, dove lei comunque è molto in disparte, “loro dopo il lavoro si incontrano, fanno feste, bevono alcool, ballano. Io non ci vado, non sto a mio agio”.
La famiglia è di una buona borghesia, la madre molto religiosa, il padre molto preso dal lavoro. Tra loro non ci sono dialoghi, lei si mantiene in una posizione silenziosa, indifferente, senza fare polemiche, cerca di studiare ma con difficoltà di concentrazione. Loro sono preoccupati per il suo rendimento universitario.
Dopo tre mesi arriverà in seduta molto turbata perché durante un pranzo con i genitori, quando il padre farà una battuta contro gli omosessuali ascoltando un servizio in tv, lei d’impulso gli getterà il tovagliolo in faccia, restando stupefatta per questo suo gesto.
Quando io le chiederò se lei aveva comunicato ai genitori il suo sentirsi “non etero”, lei mi risponderà di no, cosa impossibile a farsi, “loro non capirebbero e sarebbe un dramma”. Questo episodio mi permette di chiederle qual è la sua sessualità. La sua risposta sarà: “cosa intende? di identità o di orientamento?”. Si mostra molto esperta del gergo caratteristico del mondo LGBT+, che evidentemente ha frequentato intensamente. Di qui in avanti si descrive come “da sempre” consapevole di essere attratta anche dalle ragazze, “forse bisessuale, ma non so bene”. Ha avuto al liceo un paio di tentativi di rapporto con due ragazzi, subito conclusi. Attualmente non ha nessun “impiccio”, “sono molti anni che non c’è nulla”. Mi dice che qualche mese fa si è trovata in una situazione di intimità con una ragazza del volontariato molto carina, che si dichiara lesbica, “ma poi non è successo nulla”.
Si mostra stupita all’idea che ci possa essere qualche connessione tra la sua depressione e la sua collocazione sessuata. Ritiene che la sua sessualità sia un non-problema, qualcosa che ha già elaborato e risolto, per quanto possibile. “Se si offrisse l’occasione non avrei problemi ad aver rapporti, semplicemente non è successo finora”.
Caso C.
- è maschio di 19 anni, nato in Romania e adottato da una famiglia italiana all’età di sette anni. I genitori sono molto aperti, progressisti, attenti alla gestione evolutiva del figlio adottivo. In casa c’è una sorella, anch’essa rumena e adottata. C. viene segnalato dal padre perché ha un lievissimo Disturbo Specifico dell’Apprendimento, già diagnosticato da un istituto di NPI, che gli crea difficoltà nel corso degli studi universitari che sta seguendo. Anche C. mi appare subito come caratterizzato da gestualità tipiche dell’identità gay, ma di questo non se ne parla. E’ posseduto dallo sforzo doloroso per riuscire a rispettare il programma di studio, gli esami, le verifiche, i tirocini che il corso di studi che ha scelto comporta, studiando spesso fino a notte tarda in quanto lento ad apprendere. Tutta la sua vita è una lotta per riuscire ad affermarsi professionalmente. Tutto il mondo sembra opporsi a questo suo sforzo: i professori o sono incompetenti o persecutori con lui, i compagni di corso odiosi, egoisti, opportunisti, violenti, razzisti, falsamente gentili. I genitori non lo capiscono, fanno finta di preoccuparsi per lui. La sua rabbia occupa interamente tutto il tempo delle sedute, invase dalle descrizioni delle offese, ingiustizie, soprusi, danni prodotti su di lui.
Il mio tentativo di farlo parlare dei suoi primi sette anni di vita in un istituto in Russia, dove la madre alcolista lo aveva abbandonato non essendoci un padre, non producono effetto. Del passato non si deve parlare.
- praticamente non ha tempo libero da dedicare agli svaghi, deve solo studiare duramente, sempre in casa. Non ci sono amici, non c’è attività sportiva o altro.
Mi racconterà di sua sorella, che spesso ospita a casa i suoi fidanzati coi quali passa le notti, talvolta disturbando i suoi studi notturni. Quando io gli chiederò se anche lui accoglie conoscenti a casa, C. mi risponderà che lui non lo potrebbe fare, è gay e in famiglia c’è la governante che si occupa della gestione della casa che, secondo i genitori, essendo molto religiosa si turberebbe troppo. Lui accetta e si danna per tale ingiustizia, lamentandosi per intere sedute.
Anche per lui la sua omosessualità non è un problema, e anche per i genitori è così. Non è un problema, anche se lui deve rinunciare al suo desiderio. Il suo obiettivo è finire gli esami.
Quando, dopo alcuni mesi di analisi, inizierà a contattare e ‘chattare’ attraverso i social con alcuni ragazzi e adulti gay, inizieranno le sue uscite. La madre sarà allora molto preoccupata perché C. è inesperto, confuso, disorientato, rischia di perdersi nella città che non conosce, lo chiamerà ogni mezzora fino a quando non sarà tornato a casa.
Caso D.
- è femmina, ora di 24 anni, ma la ho conosciuta quando aveva 17 anni. Arriva da me perché la madre, sofferente di una forma psicotica, era stata brillantemente curata da un mio collega. Quando inizia il suo disagio lei si ricorda del “dottore di Roma” di cui le parlava la madre, e decide di venire qui da noi da un paesino vicino Caserta dove vive.
Il suo tema prevalente sono le “amiche del cuore” che a un certo punto polemizzano con lei, la accusano di averle tradite o si sentono gelose di altre sue amiche. La storia si ripete regolarmente ogni volta, lei è costretta a rompere con loro perché la situazione si fa insostenibile. E’ considerata in paese una “influencer”, sa scrivere bene sui social, è intelligente e sveglia, sa vestirsi secondo la moda più corrente e sempre con provocazioni estetiche (dark). E’ sempre stata la prima della classe. Legge romanzi ed è appassionata di un gruppo rock, dove il cantante, dall’aspetto molto effeminato ma mai dichiarato gay, ha milioni di follower. Lei fa parte del fandom (sito web dove i fan dialogano tra loro e talvolta con i musicisti del gruppo), dove ha molto successo. Per tutti questi anni ha messo i soldi da parte per andare in giro per l’Europa ad ascoltare i concerti del gruppo e incontrarsi con le ragazze del fandom, tutte innamorate perdutamente del cantante.
Ciò che caratterizza il fandom è l’’ambiguità’ sessuale delle fan, tutte o quasi si dichiarano lesbiche, bisessuali, queer, eccetera. D. ha sempre detto che a lei non importa definirsi, non ha senso sentirsi omo- o etero-, si tratta semplicemente di trovare la persona giusta.
- ha avuto precedentemente un ragazzo in paese per due anni, con periodi di rottura e pacificazioni, a cui lei si concedeva anche se lui non voleva ufficializzare la relazione. Non la ha mai presentata agli amici, si incontravano per fare l’amore in auto e basta. La considera una esperienza dovuta, senza alcuna nostalgia.
Da allora non ha più avuto alcun rapporto sessuale. La sua vita affettiva è tutta sui social, nei quali passa giorni interi a dialogare con amiche mai incontrate. Con una di queste, H., si è quasi stabilito un rapporto d’amore, si sentivano in chat decine di volte al giorno, si giuravano un legame infinito. In occasione di un concerto del cantante a Milano hanno deciso di andarci insieme, si sono incontrate, hanno passato alcune notti in tenda senza che ci fosse neanche un abbraccio. Dopo quel viaggio la relazione ha iniziato a consumarsi fino a concludersi.
Oggi D. è insegnante, vive a Roma, non ha ancora trovato la persona giusta.
Caso E.
- ha 14 anni, maschio. Mi contatta la madre medico, il padre è attore cinematografico. E. non riesce più ad andare a scuola. Dopo il lock down e la DAD non c’è più riuscito.
- è alto 185 cm e peserà 120 chili, un gigante obeso di 14 anni. Loquace, sorridente, simpatico, parla un buon Italiano ogni tanto inframmezzato da un po’ di slang romanesco per farsi capire meglio. Nasconde l’ansia con tante parole, si agita sulla poltroncina che lo contiene a fatica scricchiolando. Per un lungo periodo la sua raffica di racconti della quotidianità occuperà tutte le sedute, quasi senza interruzioni per prendere fiato. Spesso descriverà le sue uniche uscite per andare a mangiare il kebab o la pizza da solo o con la madre. I suoi amici e compagni di classe lo vanno a trovare a casa, lo invitano a tornare a scuola, anche loro lo portano a mangiare fuori.
Mi descriverà poi una sensazione che ha all’imbrunire, ogni giorno, un sentimento di vuoto dentro lo stomaco, dentro l’anima, angoscioso. E’ quello che lo fa star male.
Con l’accordo della madre medico decido di prescrivergli un antidepressivo blando. Avrà un buon effetto, che sia farmacologico o placebo, ma E. comincerà a raccontare sogni. Primo sogno: “mi trovo a casa nella mia stanza in compagnia di un ragazzo di scuola, N., uno molto ‘figo’, che è conosciutissimo da tutti, molto popolare, sa vestirsi con stile, bello e atletico, pieno di ragazze, è simpatico a tutti, ma lui non si dà le arie, è umile, gentile, sa parlare con tutti. Arrivano i miei compagni di classe e mi vedono con lui, rimangono stupiti che sia mio amico”. Gli dico che forse nel sogno c’è il desiderio di far bella figura con i suoi amici, far vedere che lui è amico di uno figo, quindi figo anche lui. Ride con piacere.
Poi mi descriverà l’ultima volta che ha provato ad andare a scuola, della fatica che ha fatto per vestirsi, prendere il bus, arrivare al “baretto” davanti scuola dove tutti si incontrano prima di entrare. Sono tutti lì seduti in circolo, si avvicina, ma sente che loro stanno ridendo tra loro, sono presi dalla conversazione, non si sono accorti che lui è lì dietro in piedi. Si sente estraneo, gira i tacchi e torna a casa.
Lentamente riprende a frequentare il suo amico del cuore, P., che ha sempre la casa libera perché i genitori sono separati e la madre lavora continuamente. Passa intere giornate a casa di P., talvolta rimane a dormire da lui, guardano le partite, si cucinano, stanno spessissimo insieme. P. è fidanzato con V., ragazza che lo ha convinto a stare con lei, e ogni tanto, quando sono a casa insieme, gli chiede di andare a fare una passeggiata per un paio d’ore perché lui deve stare in intimità con lei. Lui lo fa e poi tornano insieme tutti e tre, lui P. e V., in allegria. V. gli dice che è gelosa di lui perché P. è “più fidanzato con te che con me, siete due fidanzatini inseparabili”.
- decide di andare dal dietologo, ma con poca determinazione seguirà le sue indicazioni.
Un miglior effetto l’avrà un’amica di V., R., che comincerà a frequentare anche lei la casa di P. Cominceranno le uscite in quattro. Mi dice che anche V. e R. sono fidanzate tra loro, sono uno splendido gruppo loro quattro.
Mi dice che R. gli piace, ma non sa cosa fare, come si fa a fare. Aggiunge che R. è problematica, è appena uscita da una storia con un’altra ragazza.
All’ultima seduta prima dell’interruzione estiva, dopo che è stato portato a forza da P., V. e R. a sostenere l’esame di Terza media nonostante sia stato assente dalle lezioni per sei mesi, mi dice che i professori lo hanno aiutato tantissimo e lo hanno promosso. Aggiunge: “Non sono mai stato così bene, non ho più il vuoto dentro”.
Speriamo nella divina provvidenza.
Caso F.
17 anni, maschio. E’ la madre a contattarmi, e sarà lei ad accompagnarlo sempre in seduta perché F. non riesce a venire da solo. Anche per lui il problema è il ritiro sociale, non esce di casa, non è più andato a scuola. Ciò che colpisce di lui è la bellezza: slanciato, capelli neri lunghissimi, occhi azzurri, lineamenti delicati, quasi efebici. Mi dirà che secondo lui non è suo padre ad averlo generato, sua madre – che per motivi di lavoro ha sempre frequentato il mondo dello spettacolo, del cinema e della musica rock – gli ha detto che allora lei aveva avuto un’avventura con un famosissimo attore di Hollywood. Lui assomiglia molto a questo attore. Il cliché estetico che lo caratterizza lo fa sembrare un musicista rock. E di fatto lui è appassionato di musica rock degli anni ‘70 e ‘80, “allora sì che si faceva musica seria, non come quelli di oggi che sono tutti squallidi e incapaci”.
- vive in casa con la madre e la nonna materna, il padre non si è mai sposato con la madre, neanche hanno convissuto se non per un brevissimo periodo, è altrove, si occupa di commercio. Il padre vorrebbe che F. lo frequentasse, stesse con lui, facesse il suo lavoro, ma F. disprezza moltissimo questo suo padre, lo considera un fallito, uno squallido. La madre si dichiara distrutta da questo figlio che “non la molla un attimo”, la controlla, vorrebbe che lei non uscisse per lavoro (incontrando “persone famose”), la sgrida se lei fa tardi e torna dopo un aperitivo “un po’ brilla”. F. considera la madre troppo libera, poco morale riguardo ai comportamenti relazionali. Lui così ‘rocchettaro’ ha principi morali molto rigorosi, si potrebbe dire che è un conservatore, di destra (“a parte la Meloni non c’è nessun altro”).
- mi dice che vorrebbe “restare bambino all’infinito”, insofferente per quel corpo che cambia, è ossessionato da “quella parte” (non l’ha mai pronunciato il suo nome: pene, cazzo, pisello…) che quando fa la doccia “reagisce”. Questo gli procura crisi di rabbia e disperazione, molto intense e molto evidenti, quasi fossero crisi isteriche alla Charcot.
Un anno prima la figlia di amici di famiglia, ragazza un po’ più grande di lui, molto bella, punk e dark, lo ha esplicitamente corteggiato, “ha fatto di tutto per portarmi a letto”, ma non è successo nulla. Anche lui non ha mai avuto esperienze sessuali di qualche tipo. F. dice che forse a lui piacciono i maschi, anche i maschi, ma di fatto il suo desiderio sarebbe non avere desideri. E’ convinto che i bambini non hanno desideri sessuali.
Riflessioni sui casi
Provo a identificare alcuni aspetti tratti dai casi accennati finora, cercando di far emergere elementi di riflessione che possano caratterizzare le modalità ricorrenti della percezione del corpo sessuato in questi ragazzi e ragazze. Il mio tentativo è quindi quello di identificare elementi che caratterizzino quello che R. Kaës ha definito i Garanti Metapsichici e Metasociali, oppure ciò che S. Gindro negli anni ‘80 definiva l’Inconscio Sociale.
- Assenza totale o quasi di pratiche sessuali agite di qualche tipo, a parte la masturbazione, in età che statisticamente segnalano un ritardo straordinario rispetto alla media standard
- Ritiro sociale generalizzato, quasi sempre totale o con uscite limitatissime in contesti ‘protetti’
- Piena consapevolezza elaborata culturalmente della propria collocazione identitaria all’interno di soggettività ‘non eterosessuali’ (LGBT+ ecc.)
- Apparente riduzione della propria ‘diversità’ sessuale a un fenomeno di cognizione del proprio essere, mettendo fuori campo l’esperienza corporea. La sessualità è tema fatto di parole, definizioni, non di corpi
- Difficoltà a considerare la propria sessualità come area generatrice di sofferenza psichica. L’origine del disagio è determinato altrove, da fatti che non riguardano la sessualità
- Convinzione che l’aver elaborato la riflessione sulla propria soggettività sessuata attraverso canali spesso mediati dal web, abbia risolto la propria esistenza in quanto corpo sessuato
- Percezione mia che vi sia una sorta di inganno interiore, determinato dall’aver elaborato la problematica della soggettività sessuata attraverso la cultura LGBT+, esperita attraverso il web e il confronto con i pari, ciò che produce un’illusione di pacificazione con il proprio corpo. Si dà parole alle diversità, senza pratiche conseguenti
- Difficoltà a elaborare quella che si potrebbe definire una sorta di ‘omofobia interiorizzata’, ricevuta attraverso la cultura familiare e sociale, che viene esteriorizzata e desessualizzata. La ‘diversità sessuale’ è sì considerata un problema della società, ma non proprio
- Mio sospetto che la c.d. cultura LGBT+ abbia prodotto una sorta di ‘side effect’, ovvero che abbia favorito una intellettualizzazione della questione dei corpi sessuati, riducendola a un fatto che riguarda la definizione che il soggetto dà di se stesso, ciò che non riguarda le pratiche dei corpi. Come dire che l’obiettivo di liberazione riguarda la pratica del coming out, della parola resa pubblica, non dell’agire corporeo. Una sorta di deriva ‘nominalista’ riguardo alle pratiche sessuali? Vi ricordate del motivetto di 100 anni fa?: “Si fa ma non si dice, si fa, poi si rifà, ma non si dice”. Ora siamo in un’epoca in cui “si dice ma non si fa”?
- Il lavoro dell’analista sarebbe quindi soltanto quello di riportare alla coscienza ciò che potrebbe essere considerato un tradizionale senso di colpa per un desiderio non accettato – o soltanto accettato ‘a parole’ e non ‘di corpo’ – attraverso il classico lavoro sulla rimozione o sulla scissione dei contenuti desideranti? Oppure c’è qualcosa d’altro?
- Quanto il disagio manifestato da ragazzi/e, che vivono in contesti familiari non sempre open minded, è riferibile al fantasma dei genitori interiorizzati che produce il senso di colpa? Oppure questa lettura è ancien regime?
- In ultimo, un’osservazione nichilista che spesso mi è venuta alla mente ascoltando questi/e giovani. Visto che, a me pare, l’aspetto più ricorrente e drammatico di questi casi è l’isolamento, il ritiro sociale, la solitudine, la mancanza di un contatto ‘corpo a corpo’, il vuoto sociale, mi tornavano alla mente alcuni passaggi dei due libri che Roberto Esposito ha scritto a proposito di Immunitas/Communitas. Che sia questo il destino di tutti noi? Questi/e giovani sono l’avanguardia di un divenire storico che ci porta all’immunizzazione erotica?
Data:
22/09/2021