Atti dei seminari Barbera e Lacan – La psicoanalisi tra medicina e scienza galileiana

Antonello Sciacchitano –

Atti dei seminari Barbera e Lacan –

Milano, 3 Febbraio 2023 –

Antonello Sciacchitano: Sono molto curioso di ciò che può accadere stasera. Spero che accada qualcosa, qualcosa tipo casino per quanto dirò. Il mio titolo è La psicoanalisi tra medicina e scienza galileiana. È un titolo bizzarro che non potrei enunciare a cinquanta metri fuori da questa osteria, alla facoltà di Lettere e Filosofia. Perché? Perché Freud non cita mai Galilei; nel caso l’accademia non può fare accademia, perché non può pensare quello che non c’è; l’accademia pensa quello che c’è. Galilei non c’è in Freud, quindi l’accademia non può parlarne. Io cito Galilei e preciso che non è una citazione freudiana. Anche Freud è accademico; cita solo ciò che c’è; fa citazioni in presenza; io, che non sono accademico, preferisco fare citazioni in assenza. Su 7000 pagine dell’opera omnia freudiana, constato che non una volta ricorre la parola Galilei; e neppure la parola Mendel. I saggi sui piselli di Mendel, che fondano la nuova scienza genetica, furono riscoperti e messi in circolazione all’epoca in cui Freud scriveva i Tre saggi sulla teoria sessuale – opera da dimenticare. Nelle opere di Freud Mendel fece la stessa fine di Galilei; finì nel nulla. Non vi sembra strano? Io lo ritengo sintomatico. Di quale nevrosi? Di quale volontà d’ignoranza?

Le citazioni di Freud – vale la pena dire due parole su questo punto – sono particolari. In termini psicoanalitici, direi che sono sintomatiche. Per esempio, Freud cita Medea. Nel caso Dora riferisce che Medea era contenta che Creusa, la sua tata, accogliesse volentieri i suoi figli. Chi se ne frega di Creusa! A Freud si vede che fregava. Ma dove lo fregava la donna di servizio? Lascio il problema aperto.

Più sintomatiche ancora sono le “non” citazioni di Darwin; voglio dire che sono citazioni addirittura sbagliate. Freud cita Darwin solo in Totem e Tabù e in Psicologia delle masse e analisi dell’io. Per dire cosa? Per sostenere una falsità, cioè per dire che Darwin concepì il mito dell’orda. Il mito dell’orda è il mito freudiano che rende l’edipo un fatto sociale: vi troviamo un padre stallone che tiene per sé tutte le donne e obbliga i fratelli alla soddisfazione omosessuale. Non c’è niente di tutto ciò in Darwin, che parla solo di small communities. Freud cita, finge di citare la propria invenzione edipica dall’Origine dell’Uomo, giusto per darsi una patente di nobiltà. Insomma, capita che uno che conosce Darwin e legge Freud ci resti male. Venendo da una facoltà scientifica, conoscevo Darwin, prima di Freud. Perciò non mi sono fatto ingabolare da Freud. Freud è diabolicamente preciso nella sua pseudo-citazione: in Darwin ci sarebbe il racconto dell’Urhorde (orda primitiva), dove un Männchen (uno stallone) possiederebbe tutte le donne. Stallone, Freud usa proprio questo termine che traduce la sua idea di padre. Da dimenticare.

Tra le non citazioni di Freud non mancano solo uomini di scienza, mancano anche i significanti scientifici – passatemi la parola; qualche Witz, qualche vezzo lacaniano dovete concedermelo. Ne segnalo due che brillano per la loro assenza: uno è il significante “variabile”, l’altro è “interazione”. Nella psicologia delle masse Freud ci presenta una psicologia sociale ricalcata sulla psicologia individuale, dove gli individui sono dei singoli isolati gli uni dagli altri: non interagiscono, se non in quanto identificati allo stesso Führer, e non variano l’uno dall’altro, grazie all’identificazione uguale per tutti. C’è una radice fascista in Freud, dobbiamo tenerlo a mente. Freud è un autore potenzialmente fascista, la cui Massenpsychologie è fondata per identificazione (Identifizierung) al padre Führer. In fondo Freud parla sempre e solo di una cosa: parla dell’Edipo, dell’uccisone del padre. Non affronta mai il tema materno.

Perché mi sono preso la briga di criticare questo Freud? Perché sono andato a scuola da Lacan. Beninteso, anche Lacan è da criticare, come colui che ha confezionato una psicoanalisi (anch’essa non scientifica) diversa da quella di Freud. Non mi soffermo sulle differenze tra Freud e Lacan. Dico solo che sono entrambi dei maestri che hanno formulato delle psicoanalisi scolastiche. Le beghe tra i successori di Freud e quelli di Lacan sono essenzialmente effetti, direi normali, dell’insegnamento scolastico.

Eppure Lacan, nel 1963, in uno scritto formidabile intitolato Kant con Sade[1], fa un’analisi della posizione etica di Sade come perversa, tale e quale quella di Kant – anch’essa perversa. Entrambi applicano un’ideologia ben precisa che trasforma l’altro in oggetto. Nelle prime righe Lacan enuncia una tesi sconvolgente. Mi ha colpito a partire dal 1991 in occasione di un convegno organizzato a Roma per riunire un po’ di lacaniani, che non si riconoscevano nella scuola di Jacques Alain Miller, intitolato Lacan in Italia. Il mio testo non riportato negli atti del convegno – grazie alla censura operante in ogni organizzazione sociale – esordiva con questa formidabile citazione: “Si tratta di preparare la scienza correggendo la posizione dell’etica[2]”. Lacan voleva dire che la psicoanalisi è potenzialmente una scienza perché riguarda l’etica del soggetto. Tra i lacaniani, come tra i non lacaniani, oggi vige un disprezzo – forse “disprezzo” è una parola forte – ma di certo una non considerazione, direi addirittura una svalutazione del discorso scientifico galileiano. Perché? Perché la scienza non fa spazio al soggetto, dicono. Una sciocchezza. Dimenticano Cartesio, il suo cogito, che introduce nella storia dell’Occidente il soggetto della scienza. Ricordo, en passant, che Lacan cita Cartesio in ogni seminario, tranne l’ultimo., dopo 24 anni. Si vede che si era stancato.

Non sto perdendo di vista Galilei. In fondo, nella psicanalisi scientifica si tratta di far rivivere Galilei, l’uomo di scienza che scriveva a Cristina di Lorena nel 1615 a proposito delle sensate esperienze e delle necessarie dimostrazioni. In psicanalisi ci sono sensate esperienze – la psicanalisi è un’esperienza, non un esperimento – ma le necessarie dimostrazioni scarseggiano. Abbondano spiegazioni pretestuosamente eziologiche, sul modello ippocratico. Manca il concetto di modello scientifico. Tutto è ricondotto a narrazioni preconfezionate sull’edipo e sulla castrazione. Si può fare di meglio che narrare storielle? si chiedeva Freud già nel 1895 negli Studi sull’isteria.

Se c’è una distanza dalla scienza è quella instaurata nel 1633, nel processo intentato a Galileo dall’Inquisizione. La Chiesa non vuole saperne di scienza. Perché la Chiesa ha la sua verità, che non è quella scientifica e che difende con armi improprie. Ma anche la società ha la sua verità e non vuole saperne della scienza che mette in dubbio la verità ricevuta. Direi di più e meglio: la scienza se ne frega della verità. La scienza è un esercizio epistemico; la scienza galileiana – a cui vorrei ricondurre la psicoanalisi – è una scienza che riguarda il sapere, l’episteme. La scienza galileiana è epistemica, non aletica! Allora, imboccata questa strada, mi tocca dire quale scienza per la psicoanalisi. Visto che non l’hanno fatto né Freud né Lacan, la farà forse Sciacchitano? Dubito. Dubito di avere le forze e il coraggio necessario per farlo. Però ci provo, anche perché sono incoraggiato da Freud.

Vi devo dare una precisazione, anche questa en passant. Non dovete avere dubbi sul mio conto: io sono freudiano, ma non freudista. Non ripeto a pappagallo la dottrina freudiana, ma non potrei criticare Freud così a fondo come sto facendo stasera davanti a voi, se non fossi intimamente freudiano. Il mio freudismo deriva dall’essere andato a scuola da Lacan, quindi è autentico e sull’argomento non ci torno più sopra.

Se leggete l’appendice della Questione dell’analisi laica… ovviamente non l’avete mai letta. Non l’avete mai letta perché la traduzione, vidimata da Cesare Musatti, recita La questione dell’analisi condotta da non medici[3]. Ma con che diritto tradurre Laienanalyse con “non medico”? Si può? “Laico” non vuol dire “non medico”. Etimologicamente “laico” vuol dire “popolare”, dal greco laòs, “popolo”, il contrario di “sacerdotale”, di “religioso”. Freud voleva lanciare questo messaggio: c’è un’analisi laica, non religiosa, non sacerdotale, non dottrinaria, addirittura popolare.

Non finisce qui la devastazione di Freud. In questo scritto del ’26, di cui cito il poscritto del ’27, figura la seguente citazione che si vede scritta sulla bottiglia davanti a me – per rimanere in tema, in tema etilico: “Voglio solo sentirmi al sicuro dall’eventualità che la terapia uccida la scienza”. Questa traduzione non la trovate nell’edizione ufficiale Bollati Boringhieri. Vi trovate ‘soverchi’ al posto di ‘uccida’. “Voglio solo garantirmi che la terapia non soverchi la scienza”. No! Uccida. La terapia uccide la scienza! Non lo dico io, l’ha detto Freud; però è rimasta lettera morta, sinché non fosse venuto un tamarro qualunque, uno Sciacchitano qualsiasi, a raccontarvi questa storia. Freud non utilizza la parola “soverchi”, utilizza la parola erschlagen, che vuol dire semplicemente “uccidere”. Freud aveva capito che la medicina, mmh la terapia, ho fatto un lapsus: la terapia, non la medicina, uccide la scienza. Perché ho fatto questo lapsus? Lo spiego nella seconda metà del mio discorso di stasera, di cui il lapsus anticipa il succo.

Freud aveva capito, o meglio aveva intuito, che la psicoanalisi poteva essere scienza. Litigava con i medici che facevano l’analisi nei loro studi privati senza aver fatto una sola seduta di psicoanalisi. Prese le distanze dai medici ma, purtroppo, non dalla medicina. Quando Freud dice “voglio solo garantirmi dall’eventualità che la terapia non uccida la scienza concepisce la medicina come scienza. Questo è difficile da concedere, perché c’è un enjambement, un accoppiamento non giudizioso, per lo meno frettoloso, tra scienza e medicina. Lo dico da medico; la medicina non è scienza, nonostante tutti gli orpelli tecnologici con cui si agghinda. Questo mettetevelo in testa perché è l’unica cosa seria che posso insegnarvi questa sera. La medicina non è scienza galileiana, è scienza aristotelica, cioè è un costrutto epistemico basato sul principio di causa-effetto, cardine della scienza storica dall’epoca classica fino ad oggi, ma definitivamente smontato da David Hume, che lo riduce a banale consuetudine del pensiero comune. La medicina è pensiero comune. Al medico si chiede: “Mi dica dottore!”

Devo prenderla larga. La parola “causa” è un’altra parola ricorrente del testo freudiano. Qui ci sarebbe da fare un lungo détour sulla parola Ursache, una mini-lezione di tedesco, se la sopportate. Ursache in tedesco è una parola composta da due significanti: Ur e Sache. Ur vuol dire “primitivo” e Sache significa “cosa”. Ursache – tradotto letteralmente con “causa” – è la cosa che viene prima. Prima di che cosa? Prima dell’effetto, di cui sta a monte. Tutte le Sigmund Freud gesammelte Werke sono basate sull’Ursache, come la medicina. In questo senso Freud, pur litigando con i medici, è lui stesso il primo ad assumere la posizione di medico, sostenendo la sua psicoanalisi come una forma di medicina dove esistono le cause delle nevrosi, tipicamente i traumi sessuali infantili, che la psicanalisi dovrebbe curare.

Freud scova un termine preciso per la causa. Le cause freudiane sono le pulsioni: die Triebe. Der Trieb letteralmente non vuol dire causa, ma spinta. Nella psiche vi sono spinte costanti – questa è la premessa antibiologica di Freud – che spingono il soggetto alla soddisfazione, alla Befriedigung, alla soddisfazione sessuale. Questo nella prima versione della metapsicologia. Nella seconda versione, quella in cui scova la pulsione di morte, il discorso non cambia. C’è una pulsione di morte che spinge costantemente a ripetere; ripetere che cosa? A ripetere l’identico, come predicava Nietzsche. Siamo sempre nel discorso della causa che produce l’effetto; siamo sempre nell’ambito della causa efficiente. Lacan non cambia questo discorso.

Nell’ultimo testo degli Écrits Lacan fa un elenco delle cause aristoteliche. Dice, per esempio, che la causa religiosa è teleologica; è la causa finale che stabilisce il destino del soggetto. La causa della psicoanalisi non è teleologica, bensì materiale: è la causa legata al significante. È il significante che produce il soggetto, ma per chi? Per un altro significante. È una teoria astratta, sintattica, quella lacaniana. Lacan non fa semantica, fa sintassi. Quando dice che il significante rappresenta il soggetto per un altro significante formula una teoria sintattica, indipendente dal significato, cioè una teoria che prescinde dal significato, cioè dalla semantica.

La medicina è un discorso eziologico. Qui vi sono studenti di medicina? Uno? Uno soltanto? Allora mi tocca fare una piccola digressione. Se voi leggete un trattato di patologia medica vi trovate regolarmente di fronte al capitolo intitolato eziopatogenesi. Eziopatogenesi vuol dire: “Adesso ti racconto come l’eziologia, l’aitia, si sviluppa nel produrre la malattia”. La stessa storia la trovate in Freud. Freud ha mutuato dalla medicina l’eziopatogenesi, lo sviluppo genetico del soggetto lungo le cosiddette fasi libidiche: orale, anale e fallica. Vi è un percorso, una genesi, una storia. Lacan avrà un bel dire nel Seminario dedicato alla psicosi: “Non c’è psicogenesi nella psicoanalisi”.[4] Nella psicoanalisi freudiana c’è psicogenesi, in quella lacaniana non c’è! Questo è uno dei meriti di Lacan. Anche se lo stesso Lacan ha fatto un discorso sulle cause, al discorso eziologico ci ha dato un taglio, come si dice a Milano.

Concluderei questo discorso sulla linea di quello che ho detto sino ad ora. Nella psicoanalisi c’è molto da abolire. Che cosa va abolito? Qui mi dissocio dai miei colleghi. C’è da abolire tutta la metapsicologia, che è la scienza delle cause pulsionali. Che cosa conservo dunque? Perché io rimango freudiano e non butto via tutto Freud. Dal mio modo di pensare abolisco la metapsicologia ma conservo alcuni punti fermi. Mi dichiaro e rimango fermamente convinto del freudismo su tre punti, per non dire quattro. Di Freud salvo innanzitutto l’inconscio (Das Unbewusste), un sapere che non si sa. Ma non è così semplice. Perché l’inconscio non si sa, è vero, ma qualche cosa si sa. Non sarebbe possibile la psicoanalisi per analizzare ciò che non si sa, se non si avesse un filo che lega il soggetto al non sapere: è questo filo che si dipana lungo un percorso analitico. Allora, come ho detto, salvo l’inconscio.

Poi salvo un paio di altre cose che non sono molto di moda neppure tra i freudiani ortodossi. Salvo la Urverdrängung, lo dico in tedesco per segnalare ancora una volta il ritorno del prefisso Ur, già incontrato nella causa. La rimozione primaria è la rimozione di quelle rappresentazioni psichiche che fanno parte di un deposito intellettuale che non sale mai alla coscienza. Anche dopo una analisi approfondita rimane l’Urverdrängung; rimane, cioè, un deposito primitivo, Ur, di significanti che non sono saliti alla coscienza e che non verranno mai analizzati. La Urverdrängung fa sì che tutte le analisi siano interminabili, unendliche, senza fine, infinite.

Salvo, poi, una terza cosa dalla paccottiglia freudiana – dico paccottiglia perché quello freudiano è un discorso disorganizzato. Se cercate una minima organizzazione nel discorso di Freud, fate un buco nell’acqua. Non è un difetto la mancanza di organizzazione. Capita ai creatori. Il terzo termine che salvo è la Nachträglichkeit, che significa approssimativamente a posteriori. I francesi dicono après-coup. La lingua italiana non ha un termine così pregante come après-coup. Potremmo dire retrospettività. Insomma, l’inconscio funziona con un suo tempo, un tempo che io chiamo epistemico, per dire il tempo di sapere. Si tratta di un tempo in cui l’inconscio si disvela, poco per volta, con un’analisi molto paziente, che deve superare le resistenze. Ma quali resistenze? Le resistenze vanno oltre a quelle che dice Freud; si resiste all’accettazione dell’edipo, ad ammettere il desiderio di uccidere il padre… Non solo; la resistenza è qualcosa di intrinseco al processo analitico legata alla difficoltà di dipanare il deposito dei significanti primordiali.

C’è un quarto termine, che riprendo da Lacan e che riguarda il transfert. È un termine fondamentale perché classifica la psicoanalisi come esercizio epistemico, un esercizio di sapere, un sapere che non si sapeva ma che si viene a sapere. La figura che Lacan enuclea, prevalentemente nel Seminario XI, è il cosiddetto soggetto supposto sapere. L’analisi si fa con l’analista, ma l’analista non come uomo ma come funzione. L’analista funziona da soggetto supposto sapere; così inizia il transfert. Attenzione, non ingannatevi: l’analista non sa nulla, ma viene solo supposto sapere. L’analisi termina quando questa supposizione decade. Però, finché la supposizione dura, l’analisi si svolge. Lei mi dirà che io desideravo mia madre e bla bla… cose ben note. Sì, è così! Io analizzo il mio edipo supponendo che la controparte, l’analista che mi ascolta, lo conosca per averlo a sua volta analizzato. Altrimenti non potrei farlo. Perché si dice che l’analista deve aver fatto l’analisi? Perché deve aver imparato a conoscere il proprio edipo, per lo meno quello.

Io finirei qui il mio discorsetto di stasera per lasciare spazio a interrogativi che mi auguro siano emersi. Non è facile sentire delle sciocchezze come quelle che ho detto questa sera. Ma sono sciocchezze feconde, che generano altre sciocchezze e altre domande. Per questo sono a vostra disposizione. Finora voi avete ascoltato me; adesso io ascolto voi.

 

DIBATTITO

 

Domanda dal pubblico: La mia domanda è sul titolo Psicoanalisi tra medicina e scienza. Io sono andato sul sito di Antonello Sciacchitano a scaricarmi tutti gli articoli gratis che ci sono e ne ho stampati alcuni. La gratuità degli scritti suppongo sia un’intenzione dell’autore; a differenza di molti altri scritti dei quali si è costretti a comprare il libro, pena l’impossibilità di accedere ai loro lavori. Questo c’entra molto con la questione della scienza. La scienza è pubblica, si pubblica, si scrive. Non è alchimia, che è privata, di setta. In uno di questi articoli[5], intitolato La psicoanalisi come scienza collettiva, Sciacchitano evidenzia qualcosa che a suo avviso è rimasta politicamente ‘lettera morta’: il passaggio della scienza alla medicina. Scrive: “Il punto cardine è che la medicina è una tecnica individuale, che applica procedure stabilite da un ordine professionale, mentre la scienza è una pratica collettiva di conferma o confutazione di congetture liberamente formulate”.

Innanzitutto lei ci ha detto che è di formazione matematica. Oggi, se andiamo nelle scuole psicoanalitiche, troviamo che non ci sono matematici, non ci sono letterati; è rarissimo insomma trovare dei non psicologi o non medici. Qui la quesitone è attualissima, anche perché la domanda rivolta a tutti noi che frequentiamo l’ambito psi è la seguente: Ma che differenza c’è tra lo psicologo e lo psicoterapeuta? E lo psicoanalista? Lo psicoanalista non esiste più, nessun sa che cos’è. La questione è molto scottante perché tutto è medicalizzato: o è psicologia o è psichiatria. Quindi la terapia uccide la scienza. Ma la questione della scienza è ancor più fondamentale per un problema che stiamo portando avanti da molto tempo. Lei dice: “Il problema che abbiamo di fronte è come costruire collettivi di psicanalisi creativi. Quelli esistenti sono scolastici a impronta professionale e non producono assolutamente nulla di nuovo. C’è una classe professorale che trasmette la dottrina ortodossa a una classe discente, formata da allievi che non interagiscono tra loro, preoccupati unicamente di applicare i dettati dottrinali alla pratica clinica individuale. Il risultato è che la psicanalisi non progredisce come scienza”.[6]

Dunque la questione tra scienza e medicina è anche la questione dei collettivi della scuola psicoanalitica. Il problema, che sembra molto – mi passi il termine – alto, filosofico, teorico è in realtà estremamente pratico: scienza o medicina? Della scelta tra medicina e scienza ne va dei gruppi psicoanalitici. Quando sono scolastici ricalcano il binomio professori-allievi – Lacan diceva sempre i miei allievi’, un po’ come le maestre a scuola che dicono “Ah, i miei studenti”; gli allievi furono il sintomo di Lacan, che aveva la nevrosi del maestro. La scienza è un’altra cosa: nella scienza si discute, si va al di là del rapporto professore-allievo. Questo ci è molto caro perché lo viviamo sulla nostra pelle: non perché la gente sia brutta e cattiva, ma perché dobbiamo fare un istituto di psicoterapia che, formalmente, rimane scolastico.

Domanda dal pubblico: Avrei una curiosità. Lei aveva accennato al fatto che avrebbe ripreso la quesitone del lapsus. Potrebbe dirne qualcosa?

Domanda dal pubblico: Il lapsus ha colpito anche me. Parto dal lapsus perché, se diamo credito a Freud, rivela sempre qualcosa di importante. Provo a riprenderlo: Al posto di “voglio solo sentirmi al sicuro che la terapia non uccida la scienza” lei ha detto “che la medicina non uccida la scienza”. Mi sembra significativo perché nel suo discorso emerge proprio questo: quando la psicoanalisi flirta un po’ troppo con la medicina si trasforma inesorabilmente in terapia.

Sciacchitano: Certo, il mio lapsus ha detto la verità. L’ha detta in modo breve ma efficace, anticipando il discorso successivo.

Proseguo nella domanda: Ecco, mi domandavo se avesse voglia di dire qualcosa di più su quella frase ‘scandalosa’ che ha enunciato poc’anzi: “la medicina non è una scienza”. Dico scandalosa perché non è facile farci i conti; mi è capitato di portarla nel discorso durante una cena tra amici e sono stato mangiato vivo.

Sciacchitano: La medicina moderna è molto legata, molto debitrice alle scienze. Non si può fare medicina senza conoscere la teoria dei quanti, senza conoscere il darwinismo. Freud si dichiarava lamarckiano, Ferenczi anche: Darwin aveva torto ai loro occhi, perché non supponeva un soggetto che evolveva attraverso fasi libidiche. La medicina moderna è darwiniana, cioè ammette che ci sia una variabilità trans-individuale di cui si deve tener conto nel produrre sia la salute sia le malattie. I meccanismi di diagnosi automatici ne tengono conto, nonostante l’imprinting iniziale sia non scientifico, nel senso che la medicina deve dire la verità della malattia. Mio padre, che era un buon medico, ma nato ancora nel diciannovesimo secolo, criticava i colleghi che facevano diagnosi di probabilità. Per lui la medicina era un modo per dire la verità. Non esistevano diagnosi di probabilità per mio padre, perché la diagnosi era una affermazione categorica: tifo o non tifo, ipertensione o ipotensione. Questo assetto binario data da più di 2000 anni, da Ippocrate in poi. Anni in cui il discorso medico si è codificato come discorso di verità. Rompere questo muraglione di verità pre-confezionate, che si studiano in tanti anni del corso di laurea in medicina, non è facile.

Perché medicina si studia in sei anni più cinque di specializzazione? Perché bisogna imparare le singole verità delle singole malattie. Un medico deve sobbarcarsi una trafila di insegnamenti, che sono insegnamenti di verità. Si dice spesso che il medico è un sacerdote, ma perché? Perché ha a che fare con verità rivelate, stabilita dal corpus medico. E sono quelle, non cambiano, o cambiano molto lentamente durante la vita di un medico.

Domanda dal pubblico: Premetto che sono molto ignorante di psicoanalisi. Però ho già sentito dire che la medicina non è una scienza. L’ho sentito dire da un magnifico zoologo e credo che la parola chiave fosse il dubbio. La medicina perde ogni qualità di scienza quanto hai studiato mille verità e le applichi da buon medico, ma non ti viene il dubbio che esiste la mille e uno. L’applicazione rigida uccide e, tra l’altro, è quella che ti impedisce di vedere il paziente perché vedi il caso; vedi una serie di sintomi e non vedi quell’unica variazione del paziente. Il fatto che la scienza si basi sul dubbio è per me fondamentale. Che è la stessa cosa che dovrebbe accadere nella discussione tra giovani. Se viene a mancare il dubbio viene a mancare la scienza.

Sciacchitano: Il dubbio è un discorso passato di moda. Non si riconosce che la scienza è cartesiana e nasce dal dubbio. Ma perché? È facile per la medicina vendersi al potere, e il potere ha bisogno di certezze. Se venisse messo in dubbio avrebbe meno potere. E viceversa, chi dubita è malvisto dal potente.

Posso raccontare il mio excursus personale. Quando ho cominciato a dubitare che la psicoanalisi fosse una scienza ho cominciato a perdere colleghi. Si dice di me che sono solitario, stravagante… ma non era così all’inizio. Ho fondato ben tre società psicoanalitiche. Ero circondato da colleghi che pensavano alla Lacan. Man mano che abbandonavo il riferimento ortodosso perdevo gli amici. Poco male; erano più amici dell’ortodossia che miei. Io non sono amico dell’ortodossia.

Intervento dal pubblico: Credo che comunque, nella storia della scienza, lei sia in buona compagnia. Credo che tutti gli innovatori sia stati mal visti dai loro colleghi, anche in altri settori.

Sciacchitano: Certo, è una legge generale. Tuttora Cartesio non è ben visto. Persino in Francia, tra i francesi che sono così sciovinisti, vige di Cartesio la versione che nel 1915 ne diede Husserl, che è una versione comme il faut, senza grosse perplessità.

C’è un ultimo punto che ho inserito nella scaletta ma non ho sviluppato. È un luogo comune: la differenza evidenziata da Wilhelm Dilthey tra scienze umane e naturali. Alla base ci sono due verbi che dicono bene la differenza tra le due scienze: sono confermare e confutare. Le scienze umane confermano, mirano alla verità; le scienze umane sono fondamentalmente religiose, dicono cosa è vero per l’uomo, rispondono al suo bisogno di verità. Io non ho questo bisogno. Ne ho un altro, sul versante della confutazione, sul versante scientifico. A me interessa sapere che un sapere si può confutare. Il 99% per cento dei casi scientifici interessanti riguardano la confutazione, quando una affermazione saputa come vera – nel confronto con la realtà dei fatti – presenta qualcosa che non torna. Questo è il punto fecondo in cui la scienza evolve. Se la scienza fosse la pratica della verità non evolverebbe, perché la verità è per definizione vera e non c’è nulla da cambiare. La scienza evolve, la religione non evolve.

Qualche papa fa finta che la religione evolva, ma di fatto non evolve, mentre la scienza evolve. La scienza quantistica di Heisenberg era diversa da quella relativista di Einstein, e i due litigavano anche. C’è un’instabilità nel discorso scientifico, che è la sua peculiarità. Quando il discorso diventa stabile, quando diventa fisso siamo fuori dall’ambito scientifico. E questo è Cartesio.

Ancora oggi Cartesio è mal visto in Francia. C’è un’eccezione notevole però: Lacan. Dal primo all’ultimo Seminario Lacan cita Cartesio. Lo citava perché poteva farlo, perché non aveva vincoli di appartenenza universitaria, accademica. I suoi seminari erano dei pourparler, erano inventati all’ultimo momento, a volte pieni di strafalcioni. E lui voleva che fossero così, una parola viva che emerge dalla bocca anche a costo di essere sbagliata. Potrei raccontarvi un sacco di errori di Lacan, ma non è il caso.

Io comunque ho imparato questo da Lacan: mi ha insegnato a dubitare. A dubitare dello stesso insegnamento che ricevevo da lui. E con ciò non vuol dire che sono anti-lacaniano o anti-freudiano. Buttando via la metapsicologia di Freud, io salvo Freud: sono veramente freudiano. La metapsicologia, con le sue cause e i suoi effetti, è uno schematismo. Uno schematismo di cui a 83 anni – ci ho messo del tempo – faccio volentieri a meno.

Domanda dal pubblico: Ma perché la butta via? Cosa non la convince della metapsicologia?

Sciacchitano: Perché è schematica: c’è la causa, quindi c’è l’effetto. La metapsicologia è stata formulata da Ippocrate nel 400 a.C.: c’è l’agente morboso, quindi c’è il morbo; non c’è l’agente morboso, quindi c’è la guarigione. La medicina ippocratica è un sillogismo. Stesso discorso in Freud: c’è la pulsione, c’è la soddisfazione; è una logica ferrea, che non prevede il dubbio cartesiano. Ricordate Cartesio? Tutto il verosimile è falso. Le scissioni del movimento psicanalitico si sono prodotte anche per indebolire la logica troppo conseguenziale, stabilita da maestri contro cui gli allievi si sono ribellati.

C’è un punto che sottolinea la carenza di scientificità di Freud. Ed è un punto che si nota solo leggendo il tedesco. In tedesco c’è l’aggettivo wahrscheinlich, che in italiano si traduce o “probabile” o “verosimile”. Quale dei due termini usa Freud nelle sue Opere? Wahrscheinlich viene regolarmente tradotto con probabile. Non esiste l’alternativa, perché non esiste in Freud l’alternativa tra diversi esiti probabili. Freud non usa mai wahrscheinlich nel senso di probabile, cioè di un evento che può essere o non può essere, ma nel senso di verosimiglianza di un’ipotesi. Un’ipotesi, metapsicologica per esempio, può essere vera o essere falsa. Secondo me andrebbe ritradotto Freud: io non mi propongo di farlo…beh, potrei, ma che lo faccia qualcun altro.

Intervento dal pubblico: Qualcosa ha ritradotto però.

Sciacchitano: Qualcosa si. Ho ritradotto per POL.it Totem e tabù, Psicologia delle masse, L’uomo Mosè e la religione monoteistica. Nell‘Uomo Mosè e la religione monoteistica, precisamente nel III saggio, Freud scrive: sono animato da un gebieterisches Kausalbedürfnis, da un “imperioso bisogno di causalità”[7]. Fosse stato di casualità sarebbe stato meglio. Ma in Freud non ci sono eventi casuali; non c’è la probabilità di un evento: tutto ha una spiegazione, tutto si spiega secondo gli schemi della metapsicologia. Schemi che ho imparato e che mi ha richiesto fatica dimenticare.

Domanda dal pubblico: A me piacerebbe chiedere ulteriori delucidazioni rispetto alla frase “La terapia uccide la scienza”. Mi lascia stupito: cosa voleva dire Freud?

Sciacchitano: Anche a me. Io sono medico e, leggendola, ho detto: “Ma caspita! C’è proprio erschlagen”. Erschlagen vuol dire uccidere. Cosa voleva dire? Gli è scappata, quella frase. Era arrabbiato. Il poscritto all’analisi laica è stato strappato a Freud. Tutto il testo sull’analisi laica è dedicato alla difesa di Reik che era uno psicoanalista non medico. Reik, con la -K, non con il -Ch. Freud voleva difendere uno dei pochi allievi che riteneva fedele. Era molto paranoico rispetto alla fedeltà dei propri allievi; dubitava anche di Ferenczi. Tuttavia non dubitava della fedeltà di Reik, né di quella di Federn, che pure sviluppavano delle metapsicologie differenti dalla sua, non pulsionali. Paul Federn è un autore da tener presente. Mi raccomando, voi che siete giovani, studiate Federn. È un autore che ha individuato la molla del discorso psicoanalitico e l’ha tradotta in termini non freudiani.

Intervento dal pubblico: Parto da un aneddoto personale. Ho conosciuto di persona Antonello Sciacchitano alla presentazione di un numero della rivista Aut-Aut[8] nel Febbraio del 2019. Quel giorno lei presentava un articolo intitolato Come si fa ricerca in psicoanalisi, mettendo in luce le fallacie di Freud, ciò che andava buttato della sua teoria. Ricordo che, da lacaniano infatuato degli insegnamenti scolastici, presi la parola ponendole una domanda estremamente ortodossa. Non ricordo i contenuti ma i toni erano sicuramente dal sapore liturgico. Lei non si prese troppo la briga di rispondermi, si limitò a dire: “Lei ha un problema con il sapere, se la sbrogli in analisi”. Sono tornato a casa piangendo… Ma, al di là di questo, il fatto che ne serbi il ricordo a distanza di tempo significa che ha fatto segno. Certo, abbiamo tutti un problema con il sapere perché fa paura, a differenza della verità che è dottrinale e ci rassicura. Mi interrogavo rispetto al fatto che, al di là del singolo, anche la Scuola ha un problema con il sapere: non si trasmette il sapere, si trasmette la verità. Lei nei suoi scritti utilizza spesso un verbo tedesco che mi piace molto: mitdenken, che traduce come “pensare insieme con la propria testa”. Forse questo verbo condensa un po’ la sfida degli incontri di Barbera e Lacan. Parla anche di quelli che definisce ‘collettivi meta-analitici’, proponendoli come alternativa alla formazione scolastica-ortodossa. In tutta onestà, ogni volta che penso a questi collettivi psicoanalitici, mi domando se non sia sempre dietro l’angolo il rischio di cadere nella verità dottrinale, nell’innamoramento per il Führer, nell’ipse dixit di qualche maestro. Come possiamo formarci senza con-formarci?

Sciacchitano: Voi di Barbera e Lacan avete trovato un modo: il confronto pubblico. Bravi, continuate così. Il pubblico non si lascia facilmente infinocchiare. Il fascismo funziona perché infinocchia il pubblico ma è un’eccezione. Il pubblico è più sano dell’individuo. Nel pubblico la tua idea è in concorrenza con le altre; quindi vince la più forte; il pubblico è darwiniano. Se la mia idea è una cagata verrà respinta e censurata. Magari poi ritorna dalla fogna. Ma ci sarà un motivo se ritorna. Allora si riprende il discorso, non si conclude mai, mai si definisce in maniera dogmatica il vero! Ma perché? Perché nel discorso scientifico non c’è il vero. Non voglio fare un discorso contro la verità, dico semplicemente che la verità è da un’altra parte. Moi, la veritè, je parle: io, la verità, parlo. Ma certo parla, puoi dire quello che vuoi, posso ascoltarti o meno, posso farti sviluppare… Ma non c’è categoricità in psicanalisi! Lasciamo la categoricità ai preti e alla religione. Io ne faccio volentieri a meno, come stasera vi ho dimostrato.

 

3 Febbraio 2023

Milano, via Festa del perdono.

 

[1] Lacan, J. Kant con Sade, in Scritti, Vol. II, Einaudi.

[2] http://www.sciacchitano.it/Eziologia/CAUSA%20UNO%20TEMPO.pdf

[3] Freud, S. OSF, Vol. X.

[4] Cfr. Lacan, J. Il Seminario. Libro III.

[5] https://www.analisilaica.it/2018/11/10/una-psicanalisi-squisitamente-collettiva/

[6] Ibidem

[7] “La nostra tanto imperiosa esigenza di causalità si accontenta di ritenere che ogni evento abbia una causa dimostrabile” (Freud, S. 1979. L’uomo Mosè e la religione monoteistica (1934-38). In Opere, vol. XI. 1930-1938. L’uomo Mosè e la religione monoteistica e altri scritti. Torino: Boringhieri.

[8] https://autaut.ilsaggiatore.com/2018/09/379-2018/

 

Antonello Sciacchitano è nato a San Pellegrino Terme (BG) il 24 giugno 1940. Il suo curriculum universitario è iniziato con un internato di quattro anni come studente presso l’Istituto di Anatomia umana normale, diretto da Angelo Bairati, della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano, dove si è laureato con il massimo dei voti nel novembre del 1965 con una tesi in immunologia.

Dal 1966 al 1972 ha frequentato per sei anni come assistente volontario l’Istituto di Biometria e Statistica medica della suddetta Università, diretto da Giulio Alfredo Maccacaro, interessandosi alle applicazioni biomediche del calcolo elettronico.

Nel 1977, durante un percorso di passe della durata di sei mesi presso l’Ecole freudienne de Paris, diretta da Jacques Lacan, ha testimoniato pubblicamente la propria formazione psicanalitica con analisi personale.

Nel 1981 si è specializzato in Psichiatria con lode presso la Scuola di specialità diretta dal prof. Carlo Lorenzo Cazzullo.

Attualmente vive e lavora a Milano, dove opera come psicanalista.

I suoi interessi scientifici sono diretti alla rifondazione della metapsicologia freudiana, al fine di riformularla su base scientifica moderna in termini di logica epistemica e di topologia.

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European Journal of Psychoanalysis