Bordi autistici e le loro vicissitudini

Secondo Lacan, il bordo della pulsione è implicato nell’avvio e nel mantenimento della relazione tra il corpo e il linguaggio. Nello studio dell’autismo, un’ipotesi fondamentale afferma che il perimetro della pulsione è precluso al soggetto autistico. Questa preclusione fa sì che il circuito pulsionale vada in cortocircuito, mettendo così a rischio la conservazione della relazione tra il corpo e il linguaggio. Il presente lavoro avanza l’idea che i soggetti autistici integrino questa privazione attraverso la costruzione di perimetri secondari che permettono la “delimitazione” del godimento, dando luogo a un dinamismo psichico unico. La nozione di perimetro viene sviluppata e le sue vicissitudini vengono presentate e suddivise in tre versatili tipologie: perimetri protettivi, perimetri sistematizzanti e perimetri incorporanti. Ognuno di questi rappresenta un particolare dinamismo nell’impegno del soggetto autistico con il corpo, la conoscenza e il legame sociale. Ognuno di essi detta una diversa modalità di funzionamento per il soggetto e, in questo senso, richiede una posizione psicoanalitica distinta nel trattamento e nella facilitazione dell’autismo. Nell’elaborazione clinica e teorica delle vicissitudini del perimetro, vengono discusse diverse nozioni significative relative all’autismo, quali: la solitudine, l’identità, gli oggetti autistici, lo stimming, gli interessi speciali, il camuffamento e le identità di genere non binarie.

Il bordo della pulsione

La “pulsione” è un concetto propriamente psicoanalitico rispetto a “istinto”. Così, Freud si è impegnato a fondo per differenziare i due termini l’uno dall’altro. Comunque sia, la parola tedesca per “pulsione” (Trieb) finì per essere tradotta erroneamente come “istinto” nella traduzione inglese canonica di James Strachey (ad esempio Freud, 1914a, p. 148). Questo errore ha portato a confondere la pulsione (Trieb) con l’istinto (Instinkt) negli scritti di Freud e alle loro successive inesatte interpretazioni da parte degli psicoanalisti di lingua inglese.

Rispetto a questo errore di traduzione, Lacan (2001) afferma chiaramente che “Trieb e istinto non hanno nulla in comune” (p. 49). Freud concepisce l’istinto come un programma biologico innato che costringe l’organismo a lottare per la propria sopravvivenza. Agisce per soddisfare i bisogni istintuali dell’organismo accrescendo i livelli di tensione quando i bisogni dell’organismo sorgono e abbassandoli quando vengono soddisfatti (Miller & Laurent, 1998, pp. 15-35). Questo equilibrio dinamico può essere associato a una funzione sinusoidale che dimostra il ritmo omeostatico dei sistemi organismici (vedi figura 1).

Figura 1. Una funzione sinusoidale che dimostra l'equilibrio dinamico dell'istinto.

Figura 1. Una funzione sinusoidale che dimostra l’equilibrio dinamico dell’istinto

La pulsione è qualcosa di completamente diverso. Secondo Freud (1911), la pulsione imprime la psiche a un livello che supera il bisogno istintuale dell’organismo, ma precede anche l’idea tangibile; in altre parole, è “un concetto alla frontiera tra il somatico e il mentale” (p. 74). A questo Lacan (2006) aggiunge che la pulsione ha origine proprio in una rottura dell’organizzazione istintuale dell’organismo umano. Questa rottura deriva dall'”inadeguatezza organica” del neonato (Lacan, 2006, p. 77). A differenza degli altri animali, che nascono comunemente con facoltà biologiche sufficienti per la loro sopravvivenza, i neonati umani nascono “immaturi” e sono caratterizzati dall’impotenza motoria e dalla completa dipendenza da chi li accudisce (p. 76). In altre parole, gli istinti degli animali sono sufficienti a mantenere la relazione tra il loro Innenwelt – cioè le sensazioni di base legate al soggetto come la fame, la sete e il bisogno di dormire [1] – e il loro Umwelt – cioè il rispettivo ambiente. Per gli animali, sostiene Lacan (1988), l’istinto è sufficiente a stabilire una “identità dell‘Innenwelt e dell’Umwelt” (p. 137). D’altra parte, Lacan (2006) afferma che, a causa della sua qualità specifica di “nascita prematura”, l’organismo umano nasce con una deiscenza innata, una rottura tra l’Innenwelt e l’Umwelt (p. 78). Attraverso l’influenza del linguaggio, l’organismo umano tenta di ricucire questa frattura. La pulsione è l’unico sottoprodotto di questo incontro tra l’organismo e il linguaggio: incarna l’effetto reciproco che hanno l’uno sull’altro. In termini più strettamente lacaniani si potrebbe dire che la pulsione emerge come un eccesso prodotto dal taglio che il significante introduce nel reale (Lacan, 2001, p. 162). In termini freudiani, si potrebbe aggiungere che questo taglio aggira gli orifizi delle zone erogene del corpo: l’orale, l’anale, il fallico e, per Lacan, anche lo scopico e l’invocatorio. Questi sono i nomi delle pulsioni nell’insegnamento di Lacan (meno il fallico): l’orale con il seno come oggetto, l’anale con l’escremento come oggetto, lo scopico con lo sguardo come oggetto e l’invocatorio con la voce come oggetto.

Nel Seminario XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (2001), Lacan presenta la sua “decostruzione della pulsione” (pp. 161-173). Basandosi sulla “Trieblehre” di Freud (1905a, 1915b, 1914b, 1914c, 1920), sviluppa la sua “teoria delle pulsioni” utilizzando le quattro componenti freudiane della pulsione: Drang (spinta), Ziel (scopo), Objekt(oggetto) e Quelle (fonte). Contrapponiamo rapidamente queste componenti a ciò che abbiamo finora descritto come istinto.

In contrasto con l’innalzamento e l’abbassamento istintuale dei livelli di tensione, la spinta (Drang) della pulsione è caratterizzata da una costante tendenza a scaricare gli stimoli interni. Lacan (2001) sottolinea che “la caratteristica della pulsione è di essere una konstante Kraft, una forza costante… [non ha] né giorno né notte, né primavera né autunno, né aumento né diminuzione” (pp. 164-165). Pertanto, contrariamente alla funzione sinusoidale che esemplifica il ritmo istintuale, la pulsione può essere esemplificata da una funzione costante, una linea retta. Inoltre, a differenza delle tensioni corporee che caratterizzano le dinamiche istintuali, la spinta della pulsione non coinvolge l’organismo nel suo complesso (p. 164). È distribuita alle zone erogene localizzate del corpo. Così, mentre la tensione corporea associata alla fame, per esempio, interesserebbe tutto il corpo, la spinta della pulsione è distinta nelle sue istanziazioni orali, anali, scopiche e invocatorie.

Lo scopo (Ziel) della pulsione è ciò che dà alla sua spinta una traiettoria che le permette di produrre soddisfazione. Lo scopo della pulsione si distingue anche da quello dell’istinto, che mira sempre a un oggetto particolare. Ad esempio, se l’organismo ha fame, l’aumento dei livelli di tensione lo costringerà a consumare cibo. Con la pulsione, si potrebbe dire che “non è la destinazione, ma il viaggio”. Cioè, la soddisfazione della pulsione non si ottiene puntando al suo oggetto (Objekt). Lacan (2001) aggiunge che non esiste un oggetto naturale distinto designato come obiettivo della pulsione: qualsiasi oggetto può essere adottato come oggetto pulsionale (p. 168). Per esempio, per soddisfare la pulsione orale non si deve necessariamente consumare cibo, si può tenere una lezione in un’aula affollata (p. 165-166). Come si spiegherà tra breve, la pulsione mira intorno al suo oggetto, ottenendo soddisfazione nella delimitazione dei suoi contorni, raggiungendo così la sua meta senza raggiungere il suo oggetto.

La fonte (Quelle) della pulsione è la “struttura perimetrale” degli orifizi delle zone erogene del corpo (p. 169). La spinta della pulsione ha origine dai fori delimitati dal bordo dell’orifizio.

Con le quattro componenti della pulsione, Lacan sviluppa lo schema del circuito pulsionale (vedi figura 2).

Figura 2. Schema di Lacan del circuito pulsionale. (Tratto da: Lacan 2001, p. 178).

Questo schema aggiunge un livello esplicativo alla decostruzione di Lacan della pulsione, illustrando le interrelazioni tra le quattro componenti della pulsione.

Lo schema illustra il movimento della pulsione in generale, cioè chiarisce ciò che è comune alla dinamica della pulsione in tutte le sue modalità. Al centro dello schema identifichiamo l’oggetto pulsionale, qui presentato come objet petit a. Lacan (2014) utilizza la notazione algebrica “a” per mettere a nudo la funzione peculiare che ogni oggetto pulsionale svolge per ciascuna delle pulsioni (p. 86). Ad esempio, l’oggetto della pulsione orale, il seno, porta con sé diversi significati aggiuntivi che non sono generalizzabili a tutti gli altri oggetti. A destra, la fonte della pulsione è sostituita dalla figura del cerchio. La spinta della pulsione è rappresentata dalla freccia, che si muove in una traiettoria circolare. Ha origine all’interno del cerchio, punta la sua traiettoria intorno all’oggetto e infine ritorna alla sua fonte, rappresentata nello schema dalla meta. Lo schema accentua così la dissociazione tra lo scopo della pulsione e il suo oggetto, dimostrando questa volta chiaramente che l’obiettivo della pulsione non è il raggiungimento dell’oggetto, ma il ritorno alla fonte.

Secondo Freud (1911), il movimento della pulsione è fissato in una fase precoce della vita del bambino. Egli sostiene che questa fissazione si instaura quando un’iscrizione psichica della pulsione non riesce ad accompagnare gli altri in un percorso di sviluppo previsto. Questo porta a un’inibizione del suo sviluppo, che ne provoca la persistenza in uno stato inalterato. Per Lacan, lo schema del circuito pulsionale rappresenta il movimento della pulsione dopo che è stata fissata in una particolare traiettoria. Come illustra lo schema, il circuito pulsionale si consolida in un movimento circolare e continuo; un movimento che ha origine dalla zona erogena e continua ad aggirare l’oggetto della pulsione tornando alla zona erogena, da dove riprende il suo cammino. Ecco perché, ad esempio, quando si ha fame, si può mangiare un panino per soddisfare il proprio bisogno istintivo. Tuttavia, potrebbe anche accadere che, sebbene sia sazi, si continui a mangiare una torta come dessert… e magari anche un gelato… ecc. Come sostiene Lacan (2001), “l’objet petit a… è introdotto dal fatto che nessun cibo potrà mai soddisfare la pulsione orale, se non aggirando l’oggetto eternamente mancante” (p. 180). Da ciò si evince che la soddisfazione della pulsione non è legata all’oggetto del bisogno istintuale, ma piuttosto alla perpetuazione del movimento pulsionale all’infinito. Di conseguenza, possiamo immaginare lo schema di Lacan del circuito pulsionale che si dirama dal ritmo istintuale rappresentato dalla funzione sinusoidale (vedi figura 3).

Fig. 3. Il circuito pulsionale che si dirama dal ritmo istintuale rappresentato dalla funzione sinusoidale.

Poiché l’oggetto della pulsione non può essere ridotto ad alcun oggetto di scambio, non può essere consumato e reso inefficace. Di conseguenza, la sua efficacia perpetua assicura la coerenza del funzionamento del circuito pulsionale: “Nient’altro assicura la coerenza [del circuito pulsionale] se non l’oggetto, come qualcosa che deve essere aggirato” (Lacan, 2001, p. 181; parentesi aggiunte). In particolare, Lacan sostiene che l’oggetto pulsionale condiziona la relazione tra il bordo nella sua manifestazione come fonte e meta. La fonte e la meta della pulsione sono, in un certo senso, entrambi buchi delimitati dal mrgine. La fonte può essere associata agli orifizi del corpo che sono le fonti di eccitazione somatica. L’obiettivo della pulsione può essere associato alle zone erogene: i luoghi in cui questa eccitazione è significata. L’oggetto della pulsione è quindi situato tra questi due ordini dei bordi, che ora è concepito come un bordo a due bordi, che segna i confini dei fori che sono sul corpo e mediati nel linguaggio. Per questo motivo sostengo che il bordo sia coinvolto nell’avvio e nella conservazione della relazione tra il corpo e il linguaggio (Brenner, 2020, p. 187).

Una delle mie ipotesi principali è che, nell’autismo, l’iscrizione del bordo della pulsione sia preclusa. Questa forma di preclusione non è quella che vediamo nella psicosi, cioè la preclusione del significante del Nome del Padre (Lacan, 1997, pp. 96, 306). È una forma di preclusione singolare dell’autismo, una “preclusione autistica” che prende come oggetto l’iscrizione del cerchio della pulsione (Brenner, 2020, pp. 197-199).

La preclusione del bordo della pulsione altera il circuito pulsionale in modo tale da non influire né sulla spinta della pulsione né sull’oggetto della pulsione; la pulsione è ancora vissuta dal soggetto autistico come una forza costante e l’oggetto della pulsione riappare in primo piano in un reale intollerabile. Piuttosto, la preclusione del bordo della pulsione provoca un “cortocircuito” del circuito pulsionale. Emerge senza meta da una fonte priva di bordo, incapace di aggirare l’oggetto e di tornare al suo obiettivo, mettendo così a rischio la conservazione della relazione tra corpo e linguaggio (vedi figura 4).

Fig. 4 Il circuito di azionamento viene cortocircuitato e spinto in un movimento senza meta, incapace di aggirare l’oggetto di azionamento e di tornare alla meta.

Molti soggetti autistici dichiarano di avere difficoltà a relazionarsi con il proprio corpo, vivendolo come una massa frammentata, non organizzata e indistinguibile di stimoli e sensazioni (Schauder et al., 2015). Si potrebbe dire che queste difficoltà sono radicate nel funzionamento della forclusione autistica. In particolare, suggerisco di designare gli effetti della forclusione del bordo a livello della pulsione e, in questo senso, a livello della distribuzione degli stimoli e delle sensazioni nel corpo. In altre parole, sostengo che la preclusione del bordo interferisce con il ruolo del linguaggio nell’organizzazione e nella distribuzione della libido. In termini lacaniani, il corpo autistico si distinguerebbe per le sue modalità di organizzazione e regolazione del godimento. In un’altra pubblicazione, ho descritto il corpo autistico come un corpo “senza buchi”, nel senso che tutti gli organi erogeni sono “otturati” (Brenner, 2021a, p. 48). L’otturazione degli organi erogeni provoca nel soggetto un’ansia insopportabile, attraverso la quale la maggior parte delle manifestazioni del godimento sono vissute come intrusioni intollerabili (Lefort, 2003, p. 16). Di conseguenza, il corpo autistico è caratterizzato da una topologia unica che non distingue tra interno ed esterno e quindi l’interno e l’esterno del corpo sono continui (Laurent, 2012, pp. 78-84).

Seguendo la tesi di Lacan (1989) che afferma che i soggetti autistici non sono avulsi dal linguaggio (pp. 19-20), sostengo che la preclusione del bordo non priva completamente il soggetto autistico di stabilire una modalità di accesso al godimento. Senza il bordo, il soggetto autistico potrebbe perdere l’accesso alla “cifratura” del godimento, che si stabilisce nel movimento circolare del circuito pulsionale così come viene presentato da Lacan nel Seminario XI. Tuttavia, sostengo che questa privazione può essere integrata attraverso la costruzione di un bordo secondario che permette la “circoscrizione” del godimento. La “cifratura” (chiffrer) del godimento (Lacan, Inedito, 20.11.73) dipende dal ricorso al significante, che fornisce i mezzi per la sua “interpretazione” e trasformazione in un vocabolario affettivo coerente. Altrove sostengo, insieme a Maleval (2009), che la “circoscrizione” (cadrer) del godimento è resa possibile dal ricorso autistico al segno (Brenner, 2020, pp. 250-251). Senza approfondire la teoria che sta alla base della distinzione tra queste due unità linguistiche,[2] ai fini della nostra discussione sosterrò che il segno è più simile a un oggetto linguistico rigido che a un significante vuoto e dinamico. È con l’aiuto di questo oggetto linguistico che i soggetti autistici sono in grado di costruire un cerchio supplementare che può delimitare il loro godimento. Non si tratta del cerchio originale del circuito pulsionale, ma di un cerchio secondario che permette un dinamismo psichico unico.

Nel mio lavoro fin qui ho cercato di individuare diverse modalità di utilizzo del segno nella costruzione di cerchi supplementari. Queste modalità non sono forme concettuali forzate dall’evidenza clinica derivata da casi singoli e autobiografie. Non sono categorie che limitano la portata e le variazioni dell’inventiva dei soggetti autistici nella costruzione dei loro bordi supplementari. Sono voci funzionali che raggruppano la varietà di soluzioni che i soggetti autistici utilizzano per trattare l’alterazione del circuito motorio causata dalla preclusione del bordo. Queste alterazioni possono avvenire a livello di ogni singola unità e possono essere suddivise in tre tipologie versatili: bordi protettivi, bordi sistematizzanti e bordi incorporanti. Ognuna di queste è caratteristica di un peculiare dinamismo del soggetto nel suo impegno con il corpo, la conoscenza e il legame sociale. Ciascuna detta una diversa modalità di funzionamento del soggetto e, in questo senso, richiede una posizione psicoanalitica distinta nel trattamento e nell’aiuto dell’autismo. Le sezioni seguenti presenteranno i recenti sviluppi teorici in termini di vicissitudini dei cerchi autistici.

Bordi protettivi

La preclusione del cerchio influisce sul circuito pulsionale in modo tale da far sì che il godimento, solitamente mediato attraverso gli orifizi del corpo, venga vissuto come un’intollerabile intrusione che sfugge al controllo del soggetto. Per superare l’ansia insopportabile che deriva da questa esperienza, i soggetti autistici si impegnano in interazioni protette con gli oggetti in cui si imbattono contingentemente nel loro ambiente. Attraverso queste interazioni coerenti con gli oggetti, i soggetti autistici sono in grado di sfruttare le loro qualità dinamiche per costruire bordi protettivi che proteggono il loro corpo dall’intrusione del godimento.

Un esempio canonico della costruzione di cerchi protettivi si trova nel lavoro di France (Francis?) Tustin con i bambini autistici (1986, 1992). Tustin fornisce una serie di casi di studio che esemplificano l’uso unico che i soggetti autistici fanno degli oggetti duri che attaccano al corpo. Secondo Tustin (1986), questi “oggetti autistici” non vengono utilizzati per la loro funzione prevista, ma acquisiscono una funzione protettiva idiosincratica (p. 103). Ad esempio, mentre un mazzo di chiavi sembra essere essenziale per un bambino di nome Peter, egli non le usa per aprire armadi o porte. Tustin sostiene che la loro durezza protegge Peter dall’insopportabile invasione di stimoli che invadono il suo corpo.

Tustin sottolinea che gli oggetti autistici sono oggetti “dominati dalla sensazione” (p. 104). Ciò significa che non partecipano alla fantasia o al gioco, ma sono sentiti come parte del corpo del bambino e, quindi, la loro perdita provoca grande angoscia. Tustin osserva che questi oggetti hanno un ruolo nei rituali profondamente ripetitivi di cui si occupano i soggetti autistici. Thomas Ogden (1989) aggiunge che questi rituali introducono il soggetto a una modalità ritmica di esperienza in cui i dati sensoriali grezzi costituiscono superfici delimitate e formano connessioni pre-simboliche tra le impressioni sensoriali (pp. 127-128). Queste esperienze ritmiche isolano il soggetto in stati temporanei di interazione protette che corrispondono a quello che oggi viene comunemente chiamato “stimming autistico”. Stimming, abbreviazione di comportamento autostimolatorio, è un termine che alcuni soggetti autistici hanno adottato per descrivere comportamenti ripetitivi che danno loro un senso di controllo che li aiuta a far fronte a stimoli esterni opprimenti e fornisce loro un modo per calmare e comunicare i propri stati d’animo. Questi comportamenti possono includere il battito delle mani, la rotazione in cerchio, il dondolio del corpo, la manipolazione di oggetti, vocalizzazioni come grugniti e borbottii e altro ancora.

Il potere regolatore dello stimming autistico può essere associato alla nozione di “omogeneità autistica” di Kanner (1943). Osservando i suoi pazienti autistici, Kanner notò come il loro “comportamento è governato da un desiderio ansiosamente ossessivo di mantenere un’uniformità che nessuno, tranne il bambino stesso, può disturbare in rare occasioni” (p. 245). In una pubblicazione successiva, Kanner (1951) fornisce la seguente descrizione di questa tendenza:

La totalità di un’esperienza che arriva al bambino dall’esterno deve essere ripetuta, spesso con tutti i suoi dettagli costitutivi, in una completa identità fotografica e fonografica. Nessuna parte di questa totalità può essere alterata in termini di forma, sequenza o spazio. Il minimo cambiamento di disposizione, a volte così minuscolo da essere a malapena percepito dagli altri, può evocare un violento scoppio d’ira. (p. 106)

È importante notare che sia l’oggetto coinvolto nello stimming autistico sia le vocalizzazioni ripetitive possono essere descritte come un oggetto autistico. Sulla base delle sue osservazioni, Tustin (1986) osserva che i bambini autistici non distinguono chiaramente tra le modalità sensoriali. Pertanto, osserva che a volte i bambini autistici sperimentano la vista e l’udito come se fossero toccati da un oggetto (p. 105). Ad esempio, la Tustin descrive come un bambino autistico di nome David giunga alla conclusione che le parole “Tustin” e “Austin” sono uguali perché si sentivano allo stesso modo quando “toccavano le orecchie o gli occhi” (p. 106). Tustin continua a sostenere che “le parole possono essere oggetti autistici” (p. 113). In particolare, le parole e i suoni diventano oggetti autistici quando partecipano alla manipolazione ecolalica.[3] Lo stesso vale per gli enunciati ecolalici che sono abbinati a una sensazione. Quando prendono parte a comportamenti stimolatori ripetitivi, possono essere descritti come stimming.

È qui che la nozione di oggetto autistico di Tustin è conforme alla comprensione lacaniana del modo in cui gli oggetti sono usati come supporto per le costruzioni linguistiche. Ad esempio, nel caso di un bambino autistico di nome Juan, egli continua a toccare diversi oggetti nella stanza del consultorio, uno per uno, non giocando con essi ma categorizzandoli e chiamandoli per nome. I nomi degli oggetti vengono ripetuti isolatamente mentre si maneggiano gli oggetti stessi (Berenguer & Roizner, 2012, p. 107). Stabilendo un ordine in cui i nomi degli oggetti possono essere ripetuti, Juan è in grado di creare un confine che lo protegge nella stanza di consulenza senza tenere la mano dello psicoanalista. Questo processo può essere elaborato anche da un punto di vista linguistico, incentrato sull’uso dei segni. Ricordiamo che un segno è simile a un oggetto linguistico rigido che ha una relazione biunivoca diretta e permanente con un referente (Brenner, 2020, p. 226). In questo senso, i segni possono essere utilizzati come segnaposto linguistici affidabili per oggetti reali incontrati nel mondo. Quando un segno è abbinato a un oggetto autistico, può essere usato in modo indipendente nello stimming, nello stesso modo in cui un oggetto reale viene usato per stabilire un confine protettivo per il corpo. In altre parole, attraverso la mediazione dell’oggetto autistico, si può realizzare una relazione transitiva tra il godimento del soggetto e un segno linguistico. Sulla base di questa relazione, un segno può acquisire la funzione dinamica di un oggetto nella costruzione di un cerchio protettivo.

Godimento Oggetto autistico Segno

L’oggetto autistico utilizzato per le sue proprietà protettive nei modi sopra descritti funziona come un bordo sensoriale supplementare alla pulsione. Come chiarisce Tustin (1986), nel loro comportamento stereotipato, “i bambini autistici spesso si mordono la lingua compressa o i cuscinetti delle guance. Oppure si dimenano per sentire le feci nell’ano” (p. 109). Come si vede, si tratta di regolazioni delle pulsioni orali e anali. L’oggetto autistico è un sostituto metonimico di queste attività autosensuali, partecipa al tentativo di segnare un limite alla pulsione nel corpo, consentendone la marcatura sul bordo del corpo.

Tustin (1986) sostiene che la funzione protettiva dell’oggetto autistico è strettamente patologica e deve essere disfatta nel corso del trattamento. Definisce la sua funzione protettiva come una “pseudo-protezione” e sottolinea che essa impedisce al bambino di sviluppare strumenti di protezione autentici come quelli che si trovano nella relazione con la madre (p. 108). In particolare, per Tustin, “lo stato dominato dalle sensazioni del bambino autistico significa che questi bambini vivono in un mondo appreso a livello globale” (p. 105). Sostiene che in questo mondo diluito i bambini autistici non possono prendere coscienza di bisogni, desideri e necessità (p. 106). Si affidano esclusivamente agli oggetti autistici che selezionano, in particolare a quelli che danno loro una soddisfazione sensoriale immediata. Per Tustin, il bambino autistico che vive in questo “modo corporeo” corre il rischio che la sua vita mentale rimanga grezza, stereotipata e fortemente limitata (pp. 107-110).

L’incapsulamento nel mondo dominato dalle sensazioni descritto da Tustin può essere associato alla nozione di “solitudine” di Leo Kanner (1943). Kanner osserva che nei soggetti autistici una “profonda solitudine domina tutto il comportamento” (p. 247), cioè “un’estrema solitudine autistica che, ogni volta che è possibile, disconosce, ignora, esclude tutto ciò che arriva al bambino dall’esterno” (p. 242). Sono d’accordo con Tustin che la stretta dipendenza dagli oggetti autistici può portare, come suggerisce Kanner, a uno stato di estrema solitudine. Inoltre, è anche vero che gli oggetti autistici che costruiscono dei confini protettivi sono comunemente inflessibili e rigidi nella loro natura (Tustin, 1986, p. 114). Di conseguenza, tendono a tradire il soggetto in momenti di estrema crisi e in condizioni dinamiche e mutevoli. Tuttavia, non credo che i bordo protettivi debbano essere considerati strettamente patologici e, in questo senso, non dovrebbero essere eliminati nel corso del trattamento. In particolare, molti soggetti autistici riferiscono che i loro cerchi protettivi hanno funzionato come una porta d’ingresso per la loro ulteriore animazione e incorporazione nel legame sociale. Solo dopo aver stabilito un certo livello di protezione e prevedibilità nel loro mondo, sono in grado di uscirne. Inoltre, molte persone autistiche testimoniano che l’esperienza dei genitori o dei terapeuti che tolgono loro gli oggetti autistici è tormentosa e traumatica.

Pertanto, ritengo che i cerchi protettivi non vadano descritti solo come confini inespugnabili, ma anche come aperture. Sono costruiti in relazione agli stati sensoriali che il soggetto incontra nel suo ambiente. Forniscono modi per trasformare le invasioni contingenti del godimento in stati controllati di interazione con gli oggetti. In questo senso, come nella descrizione di Freud (1914a) della libido come un’ameba che invia i suoi pseudopodi nel mondo esterno (p. 75), i bordo protettivi forniscono un’apertura sensoriale al mondo. Permettono al soggetto una modalità di accesso a un livello rudimentale di delimitazione del godimento e, in questo senso, sono una parte importante del lavoro svolto con i soggetti autistici che hanno difficoltà con il proprio corpo. Pertanto, il lavoro clinico con i soggetti autistici, in questo modo, comporterebbe l’assistenza nell’identificazione di oggetti efficaci nel loro ambiente. Inoltre, si dovrebbe fare in modo di fornire un ambiente clinico ricco di oggetti di varie forme, dimensioni, consistenza tattile, volumi, colori e sapori. Infine, gli operatori dovrebbero seguire il bambino e osservare quando seleziona e inserisce un oggetto (un oggetto reale o un enunciato linguistico) in un rituale ripetitivo; possono quindi assisterlo nell’espansione del suo repertorio ritualistico generalizzando la sua funzione protettiva. In ogni caso, è meglio che tali invenzioni siano sviluppate in un contesto di gruppo e gestite da una molteplicità di operatori che forniscono una pluralità di attività come la danza, la musica, il disegno, la cucina, ecc.

 Bordi sistemici

La dinamica oggettuale messa in atto nella costruzione di bordi protettivi può superare la sua funzione protettiva-sensazionale ed essere utilizzata per raggiungere una modalità personale di soddisfazione. I bordi di sistematizzazione entrano in gioco quando il soggetto, attraverso un processo ripetitivo di tentativi ed errori, costruisce sistemi ordinati di conoscenza che consentono la soddisfazione pulsionale a livello corporeo ed intellettuale.

Nel campo della ricerca sull’autismo, al di fuori della psicoanalisi, “sistematizzazione” è un termine che si riferisce al desiderio di esplorare, analizzare e costruire sistemi di conoscenza (Baron-Cohen et al., 2003). I soggetti autistici che propendono per la sistematizzazione sono spesso in grado di trovare soddisfazione nell’analizzare il funzionamento dei sistemi e nel prevedere, controllare e costruire nuovi sistemi. La sistematizzazione comporta un uso intricato del linguaggio per stabilire un ordine nel mondo, che lo renda più prevedibile, ma che fornisca anche al soggetto l’accesso a una modalità di soddisfazione intima e idiosincratica. Alcuni studi suggeriscono che la sistematizzazione possa fornire ai soggetti autistici un modo per trovare conforto e sollievo dai fattori di stress (Klin et al., 2007) e un modo per affrontare le esperienze emotive negative (Turner, 1999; Baron-Cohen & Wheelwright, 1999; Kim et al., 2000; Attwood, 2003).

In termini psicoanalitici, la sistematizzazione potrebbe essere descritta come una strategia supplementare per l’organizzazione delle funzioni pulsionali. In particolare, si ritiene che i cerchi di sistematizzazione stabiliscano modalità ristrette di fissazione che mettono in atto il circuito pulsionale che, a sua volta, eleva la “delimitazione” del godimento da strumento di protezione a creazione di “isole” di soddisfazione pulsionale. Quando sono abilmente coltivati dal soggetto, questi cerchi possono essere utilizzati per arricchire la relazione del soggetto con il suo ambiente. In altre parole, servono a suturare dinamicamente l‘Innenwelt e l’Umwelt. Questa sutura si estende dall’organizzazione sistematica del corpo come apparato di fruizione a un mondo di modelli sistematizzati disponibili per il piacere collezionistico del soggetto.

A differenza dei bordi protettivi che vengono a delimitare localmente il godimento con l’aiuto di un oggetto autistico, i bordi sistemici vengono a stabilire l’efficacia del corpo nelle sue interazioni con l’ambiente. Fondamentalmente, quando vengono implementati a livello corporeo, i bordi sistemici sono costrutti che combinano e trasformano le funzioni protettive localizzate di diversi oggetti autistici in un apparato complesso che consente al soggetto di utilizzare il proprio corpo per raggiungere la soddisfazione, gestendo obiettivi più intricati in circostanze più complesse. Rispetto ai limiti protettivi, che comportano l’adozione passiva di oggetti incontrati contingentemente nell’ambiente del bambino, i limiti sistemici comportano un investimento attivo nell’elezione degli oggetti. Inoltre, piuttosto che assumere rigorosamente la forma di modalità ritmiche di ripetizione, i bordi sistemici sono aperti al cambiamento, hanno caratteristiche che possono svilupparsi nel tempo e possono adattarsi a contesti e situazioni diverse. In questo senso, i bordi di sistematizzazione forniscono al soggetto l’accesso a livelli supplementari di organizzazione pulsionale e aiutano a stabilire un’immagine corporea coerente che costituisce il mezzo per sviluppare e dare forma a interazioni gioiose con l’ambiente.

Un esempio canonico della costruzione di cerchi di sistematizzazione a livello corporeo si trova nella storia di Bruno Bettelheim (1959), pubblicata sul caso di un bambino autistico di 9 anni di nome Joey. Nel lavoro con Bettelheim, Joey riacquista l’accesso al suo corpo attraverso la costruzione di un sistema di apparati meccanici fatti di oggetti autistici. Bettelheim racconta che Joey si collegava a particolari prese “elettriche” fabbricate che formavano un “macchinario molto complesso” (p. 117). Per poter entrare nella sala da pranzo e gustare il cibo, Joey collegava il tavolo a una “fonte di energia” e la attaccava a un tovagliolo di carta. Inoltre, produceva elaborati disegni dei vari apparati che avrebbe progettato per animare il suo corpo (p. 120). Usando la macchina come prospetto sistemico per la sua immagine corporea, Joey è in grado di animarla volontariamente. L’applicazione terapeutica delle macchine in ambito clinico si sviluppa oggi nel campo noto come “terapia delle macchine” (Jackson, 2002). In questo campo, gli operatori studiano come l’interazione tra esseri umani e macchine possa accedere e rivelare gli aspetti vitali della psicologia di una persona (Dobson, 2007). In particolare, nel trattamento dell’autismo, un numero crescente di studi ha esaminato diverse applicazioni di interventi basati sulla tecnologia. Questi includono, ma non si limitano a: dispositivi tattili e uditivi, feedback basati su video, istruzione assistita da computer, realtà virtuale e robotica (Grynszpan et al., 2014; Jaliaawala & Khan, 2020). Quando questi vengono implementati per formare strategie supplementari per l’organizzazione delle funzioni motrici, potremmo dire che riguardano la costruzione di bordi sistemici.

I bordi sistemici non sono implementati solo nell’organizzazione e nell’animazione del corpo, ma sono utilizzati anche per raggiungere la soddisfazione intellettuale attraverso la sistematizzazione ordinata delle strutture di conoscenza. Alcuni studi affermano che la sistematizzazione intellettuale conferisce ai soggetti autistici un senso di organizzazione e prevedibilità, fornendo forse un cuscinetto contro l’angoscia o l’ansia (Baron-Cohen & Wheelwright, 1999; Mercier, Mottron & Belleville, 2000; Zandt, Prior & Kyrios, 2007). Di conseguenza, è già stata avanzata l’ipotesi di una corrispondenza tra ansia e tendenza alla sistematizzazione (Attwood, 2003; Klin et al., 2007; Spiker et al., 2012). In questo senso, l’ansia provocata dal rumore degli aerei può trasformarsi in una conoscenza approfondita dei tipi di aereo o degli orari di volo. In termini psicoanalitici, potremmo dire che in questi casi un tentativo iniziale di proteggersi dall’invasione del godimento si trasforma in una competenza in un particolare campo di conoscenza che lo circoscrive.

L’interesse soggettivo per la sistematizzazione può talvolta trasformarsi in ciò che molti soggetti autistici chiamano “interessi particolari”. Gli studi dimostrano che la grande maggioranza dei soggetti autistici (tra il 75 e il 95%) ha interessi speciali in particolari aree tematiche (Turner-Brown et al., 2011). Gli interessi speciali assumono molte forme: catalogazione di oggetti, identificazione di modelli linguistici, acquisizione di competenze in un campo particolare come quello degli aerei o dei trasporti, interessi creativi come la scrittura o il disegno, il fascino del funzionamento delle macchine o argomenti più esoterici come i personaggi dei cartoni animati o la costruzione di mondi fantastici.[4] Gli studi dimostrano che i bambini autistici hanno, in media, otto interessi speciali alla volta e che questi spesso si intersecano tra loro (Nowell et al., 2020).

È stato dimostrato che gli interessi particolari contribuiscono allo sviluppo di competenze, alla ricchezza delle conoscenze e alla promozione dell’apprendimento, motivando i bambini a raccogliere informazioni attraverso libri e altre fonti (Nowel et al., 2020). Altri studi dimostrano che gli interessi particolari offrono opportunità di interazione sociale con altre persone con interessi simili, generano emozioni positive e strategie di coping e inducono un senso di orgoglio e benessere generale (Mercier et al., 2000; Winter-Messiers et al., 2007; Jordan & Caldwell-Harris, 2012; Koenig & Williams, 2017; Grove et al., 2018). Quando gli interessi particolari vengono implementati nell’organizzazione delle funzioni di guida e danno luogo a soddisfazione intellettuale, potremmo dire che prendono forma come un cerchio sistemico.

Tenendo conto del sostanziale valore dinamico dei bordi sistemici, gli operatori che lavorano con soggetti autistici sono incoraggiati a sostenerne la costruzione. In particolare, ciò comporterebbe l’assistenza ai soggetti nel trovare oggetti e campi di conoscenza rilevanti da cui l’organizzazione delle funzioni pulsionali possa trarre beneficio. Oltre a conservare il loro valore dinamico, un’altra strada per lo sviluppo di bordi sistemici è il tentativo di generalizzare il loro uso. A livello corporeo, ciò significherebbe affrontare altre questioni relative al corpo espandendo la struttura della sistematizzazione. Ciò comporterebbe un impegno profondo con la qualità dinamica dell’oggetto usato sul corpo attraverso la parola o l’espressione artistica, fino a raggiungere un punto in cui l’oggetto può essere trascurato mentre la sua funzione dinamica viene preservata o ampliata. Questa modalità di trattamento è chiaramente rintracciabile nella descrizione di Bettelheim del caso di Joey (1959) e in altre pubblicazioni (Williams, 1992, pp. 64-65; Wallis, 2010). A livello intellettuale, ciò implica l’impegno con altri che condividono interessi simili e l’apprendimento di nuovi interessi da parte di altri. Inoltre, come verrà descritto nella prossima sezione, il lavoro con i soggetti autistici potrebbe anche comportare l’espansione dell’uso dei loro cerchi di sistematizzazione al di là della sfera della soddisfazione personale in direzione della loro incorporazione nella società.

Bordi incorporanti

I bordi incorporanti sono analoghi bordi sistemici, ma si distinguono per il loro scopo. Mentre i bordi sistemici mirano a una forma personale di soddisfazione raggiunta a livello corporeo o intellettivo, i bordi incorporanti sfruttano le loro qualità dinamiche per includere il soggetto come parte di un tutto. Questa inclusione potrebbe riguardare il dominio della comunicazione intersoggettiva, l’integrazione sociale, nonché il genere, la sessualità e l’identità sessuale. Quando le costruzioni su questi livelli hanno un effetto sul livello della pulsione – un effetto che sposta la posizione del soggetto in relazione al suo ambiente – possono essere determinate come bordi incorporanti. In questa sezione finale commenterò brevemente la costruzione di bordi incorporanti corrispondenti a questi domini.

Comprendere ed essere compresi

A volte i soggetti autistici sviluppano interessi speciali che hanno a che fare con il comportamento umano e la psicologia o con le interazioni sociali (ad esempio Williams, 1992, p. 119; Hendrickx, 2015, p. 17; Jordan, 2017, p. 65). In questi casi, i soggetti si impegnano ad apprendere sistematicamente le indicazioni sociali e i gesti del corpo a memoria. Quando queste abilità di sistematizzazione vengono messe in atto nel tentativo di comprendere ed essere compresi dagli altri, possono formare dei bordi incorporanti. Tuttavia, questa affermazione deve essere attenuata.

Alcuni soggetti autistici mettono in atto le loro conoscenze sistematiche sul comportamento umano e sulla psicologia in quello che viene chiamato “camuffamento” (Attwood, 2006; Gould & Ashton-Smith, 2011; Kopp & Gillberg, 2011; Lai et al., 2011). Il camuffamento è una strategia di coping attuata in determinate situazioni sociali. Può includere: nascondere i comportamenti associati all’autismo; utilizzare tecniche esplicite per apparire socialmente competenti; impegnarsi in tecniche non verbali e linguaggio del corpo compensatori; nascondere altre difficoltà sociali per confondersi con persone non autistiche (Hull et al., 2017). Un obiettivo pragmatico del camuffamento è il desiderio di ottenere posti di lavoro e qualifiche, che di solito sono meno accessibili quando si è “visibilmente autistici”. Questi obiettivi si estendono ai colloqui di lavoro e al conseguimento della laurea. Un altro obiettivo pragmatico del camuffamento è stabilire legami e avere relazioni con altre persone. Molte persone autistiche dichiarano di avere un forte desiderio di fare amicizia e di stringere legami sentimentali. Il camuffamento viene talvolta utilizzato per superare gli ostacoli iniziali nel creare legami e consentire lo sviluppo di relazioni future. Mimetizzandosi e utilizzando tecniche comportamentali sistematizzate, alcuni soggetti autistici sono in grado di ridurre l’ansia e l’incertezza in queste situazioni e di essere più fiduciosi nella loro capacità di socializzare.

È stato riferito che il camuffamento produce un senso di soddisfazione quando i soggetti autistici riescono a raggiungere i loro obiettivi sociali. Tuttavia, uno degli effetti collaterali più consistenti del mimetismo è l’esaurimento mentale, fisico ed emotivo (Mandy, 2019). Il camuffamento richiede concentrazione, un monitoraggio e un autocontrollo costanti e di solito è accompagnato da sensazioni di disagio. Molti soggetti autistici riferiscono di aver bisogno di un lungo periodo di tempo per riprendersi e, di solito, di cercare la solitudine; alcuni sperimentano anche un picco di ansia durante il mimetismo. Inoltre, alcuni soggetti autistici riferiscono che il camuffamento ha impedito loro di ricevere un supporto adeguato per altre difficoltà associate all’autismo, in particolare perché non sembravano soddisfare i tratti autistici che giustificano tale supporto. Infine, il camuffamento può anche avere un impatto negativo sulla percezione di sé. Alcuni soggetti autistici riferiscono che stringere relazioni sulla base del camuffamento accentua la natura ingannevole dei rapporti umani e li fa sentire ancora più soli e incompresi.

Nel mio lavoro con gli analizzandi autistici, ho assistito a casi in cui l’interesse per il camuffamento fornisce al soggetto l’accesso a una conoscenza che supera la dimensione della mimica. Questi sono comunemente vissuti come momenti di perdita personale, quando si scopre che un modello psicologico o comportamentale è intrinsecamente carente e viene sviluppato come euristica. In particolare, questo potrebbe essere descritto come un momento in cui un sistema ordinato di conoscenze non è in grado di codificare un aspetto ricorrente nell’interazione umana e il soggetto è costretto ad abbandonare la convinzione della completezza della conoscenza e a inventare un modo unico per codificarlo nel suo vocabolario. In un’altra pubblicazione, ho associato questi momenti alla “dialettizzazione del segno” e alla creazione di “pseudoconcetti” o “pseudosignificatori” (Brenner, 2022). In altre parole, potremmo dire che questi momenti comportano l’iscrizione localizzata di una mancanza nell’ordine del segno che è associata a una particolare sensazione sperimentata nel contesto dell’interazione sociale.

Nel suo libro Thinking in Pictures (2006), Temple Grandin descrive i momenti in cui riesce a codificare la natura ambigua di alcune delle sue esperienze di vita. Afferma che queste iscrizioni danno luogo a un effetto qualitativo significativo, onnicomprensivo e che influisce sulla sua posizione soggettiva. In particolare, dice che ogni volta che rivede la sua conoscenza in questo modo, è come “ottenere una nuova versione del software per il computer” (p. 11). Questi “aggiornamenti del software” caratterizzano anche i momenti di transizione soggettiva e i grandi cambiamenti nella sua vita, come il diploma e l’iscrizione all’università (p. 18). Questi effetti soggettivi distinguono la costruzione di cerchi incorporanti dal mimetismo sistematico che caratterizza il camuffamento. Comportano un effetto a livello pulsionale e corporeo che influisce sull’incorporazione del soggetto nel mondo umanizzato – il suo Umwelt.

Integrazione sociale

A prescindere dal loro successo nel comprendere ed essere compresi dagli altri, molti soggetti autistici riportano sfide significative nei loro tentativi di integrazione sociale in età adulta. Tra questi, gli adulti autistici riferiscono: sentimenti di intenso isolamento, difficoltà a raggiungere l’indipendenza, difficoltà a trovare un impiego, difficoltà a relazionarsi con i coetanei e a stabilire relazioni sociali; tutto ciò è accompagnato da un intenso desiderio di connessione sociale e dal desiderio insoddisfatto di contribuire alla propria comunità per sviluppare una maggiore comprensione sociale (Müller et al., 2008; Whitehouse et al., 2009; Levy & Perry, 2011; Koegel et al., 2013).

Un’ampia letteratura documenta l’efficacia di una serie di metodi di intervento sulle abilità sociali nei casi di autismo (ad esempio, Nikopoulos & Keenan, 2004; Koegel & Koegel, 2006). Questi variano e includono, tra gli altri, gruppi di supporto esterni che promuovono attività di interesse condiviso, attività sociali strutturate, opportunità di discutere il comportamento sociale, apprendimento di spunti comunicativi in gruppi misti e supporto esterno da parte di un amico o di un caregiver in un contesto sociale (Howlin, 2000; Müller et al., 2008; Koegel et al., 2013). Tuttavia, anche con l’aiuto di questi metodi di intervento, una profonda sensazione di integrazione sociale è riportata solo da una minoranza di adulti autistici.

Comunque sia, esistono testimonianze di adulti autistici che hanno raggiunto livelli sostanziali di integrazione sociale e si possono trovare in autobiografie e commenti scritti da persone autistiche. Due di questi casi sono presentati da Donna Williams (1992) e Temple Grandin (2006). Nelle loro autobiografie, sia la Williams che la Grandin riferiscono di cambiamenti drammatici nel loro senso di integrazione sociale, cambiamenti che hanno influenzato la loro percezione di sé sia in termini di funzione nella società che di senso di incarnazione e di relazioni intime con altre persone.

In precedenti pubblicazioni ho suggerito che un senso così profondo di integrazione sociale non è comunemente raggiunto attraverso forme pedagogiche di metodi di intervento sulle abilità sociali, ma attraverso un investimento creativo del mondo interno dinamico del soggetto in un oggetto che è poi situato in un dominio che supera il suo controllo (Brenner, 2021b; 2022). Questa modalità di investimento libidico può essere contrapposta a quella associata ai bordi protettivi. Nel caso di un bordo protettivo, le qualità dinamiche originariamente attribuite a un oggetto sono coltivate creativamente dal soggetto nel tentativo di proteggersi dalle invasioni del godimento. Questa modalità di investimento libidico entra in gioco anche quando i bordi sistemici sono usati strettamente per stabilire modalità intime e idiosincratiche di soddisfazione pulsionale. Al contrario, quando i bordi di incorporazione sono utilizzati per stabilire un profondo senso di integrazione sociale, la relazione tra il soggetto e l’oggetto si inverte. In questi casi, è il mondo interiore dinamico del soggetto a essere proiettato su un oggetto originariamente privo di vita, che poi trova il suo posto nel legame sociale.

Questa modalità di investimento libidico comporta un’iscrizione supplementare di una perdita di godimento in un luogo esterno al soggetto. Questa iscrizione supplementare funziona come soluzione singolare al rifiuto strutturale di inscrivere l’oggetto pulsionale nell’Altro e come parte del trattamento per la preclusione del cerchio del circuito pulsionale (Lefort, 2003, p. 14). La fabbricazione e la separazione volontaria dall’oggetto viene a generare una certa divisione soggettiva che è intimamente associata al mondo interno del soggetto, ma è permanentemente collocata in un altro luogo – o, più precisamente, tra gli altri.[6] A questo punto, è importante notare che, mentre la perdita supplementare autistica imita qualcosa della funzionalità dell‘objet petit a, la sua attuazione non è identica a quella compiuta nell’iscrizione simbolica di quest’ultimo. È attraverso un “evento del corpo” (Laurent, 2012, p. 69) che il godimento della pulsione si deposita dinamicamente in un oggetto che può essere replicato e distribuito tra molte persone.

Per la Williams è stata la pubblicazione dei suoi due primi libri: Nobody Nowhere (1992) e Somebody Somewhere (2015). In essi è riuscita a trovare un modo per esprimere creativamente la sua visione soggettiva in un modo che ha anche valore nel dominio sociale. Come l’erba alta, le viti e le rose colorate che Williams disegna nei suoi autoritratti, la pubblicazione dei suoi libri ha creato un ideale immaginario che estende e delimita il luogo vuoto del soggetto dall’esterno piuttosto che dall’interno. Per la Grandin, è stato il fascino degli animali da fattoria che la circondavano da bambina a portarla a intraprendere una carriera accademica e a diventare professore di scienze animali presso il College of Agricultural Sciences della Colorado State University. In altre parole, l’interesse speciale della Grandin per il bestiame si è concretizzato nel riconoscimento di scienziata e scrittrice di fama da parte di molti colleghi e studenti.

È importante notare che lo smarrimento provocato dall’estensione del proprio mondo interiore agli altri non è sufficiente a produrre l’effetto soggettivo discusso sopra. Per esempio, sviluppare un interesse speciale e presentarlo alla propria famiglia o pubblicarlo su un forum su Internet è solo un primo passo, un passo che deve essere fatto con attenzione se si vuole evitare un’ansia insopportabile. Il secondo passo ha a che fare con il punto di vista degli altri, cioè con l’ampio riconoscimento da parte di molte persone della singolarità della creazione del soggetto. In altre parole, è solo quando il proprio interesse speciale viene ampiamente apprezzato come “speciale” che il potenziale dinamico associato all’incorporazione di cerchi può essere pienamente stabilito. Per Grandin (2006), si può notare un punto di passaggio in questo sviluppo con l’invenzione della sua “macchina per spremere” (p. 60). Grandin descrive come, da bambina autistica, si avvolgesse con le coperte e si infilasse sotto i cuscini del divano perché la pressione la rilassava (p. 58). Da giovane adulta, si rese conto che poteva trattare la sua ansia costruendo un apparecchio composto da due pannelli imbottiti di schiuma morbida che applicavano una pressione lungo i lati del corpo e il collo (p. 59). Da accademica, Grandin ha sviluppato la sua macchina per la compressione in un apparecchio che conforta il bestiame trattato nei macelli. Pertanto, vediamo che l’interesse speciale di Grandin per il bestiame, accompagnato dal suo investimento intimo nella macchina per spremere, ha permesso l’invenzione dell’apparecchio per la gestione del bestiame di Grandin, un apparecchio ampiamente acclamato sia all’interno che all’esterno del mondo accademico.

Esiste un altro modo per spiegare l’integrazione sociale dei soggetti autistici in termini psicoanalitici. Si tratta di associare l’effetto soggettivo unico ottenuto a questo livello all’identificazione con un supplemento dell’ideale dell’Io (Brenner, 2021b, p. 967). Secondo Lacan, l’Ideale dell’Io è una delle componenti prototipiche dell’Io freudiano. Più precisamente, si tratta di un costrutto determinato dall’interazione delle relazioni che costituiscono la legge simbolica, in base alla quale i soggetti si collocano gli uni rispetto agli altri nella società (Lacan, 1988, p. 140). In altre parole, l’ideale dell’Io rappresenta un punto di osservazione da cui il soggetto percepisce sé stesso come viene visto dagli altri o il punto di osservazione da cui il soggetto ottiene la sua posizione nella società e nel mondo (Vanheule, 2011, p. 4). Quando i bordi incorporanti vengono utilizzati per stabilire un profondo senso di integrazione sociale, si può dire che la proiezione del mondo interiore del soggetto in un oggetto che viene impiegato nel legame sociale generi un supplemento all’ideale dell’ego. Cioè, attraverso la creazione volontaria di un punto di osservazione da cui il soggetto percepisce sé stesso come viene visto dagli altri. L’identificazione con questo punto di osservazione potrebbe essere determinata come una forma secondaria di identificazione egoica (narcisistica) che caratterizza la costruzione di cerchi incorporanti.

Genere, sessualità e identità sessuale

Lacan sostiene che l’Io è costituito da due aspetti prototipici: l’Io-ideale, discusso finora, e l’Io ideale. Lacan (2006) descrive l’Io ideale come la forma più “primordiale” di costruzione dell’Io, prima del suo funzionamento nella formazione dell’identità di sé e nell’instaurazione di relazioni intersoggettive attraverso l’identificazione con l’Io-ideale (p. 76). L’Io ideale funziona come un’immagine corporea ideale che maschera la realtà frammentata del corpo del bambino. L’identificazione con l’Io ideale mette in moto le facoltà psichiche organizzatrici di base che facilitano lo sviluppo motorio e collocano il corpo del soggetto nel mondo. Nelle parole di Lacan, l’Io ideale ha una funzione primordiale nel suturare l‘Innenwelt e l’Umwelt, cioè i sentimenti di base legati al corpo e al suo rispettivo ambiente (p. 78). Lacan insiste sul fatto che, per gli esseri umani, è solo attraverso il punto di vista dell’Io-ideale che l’Io può essere integrato come un tutto. Ciò significa che l’Io ideale dipende dall’Io precedente per la sua corretta integrazione. Nell’insistenza di Lacan sulla dipendenza dell’Io ideale dall’Io-ideale vediamo che il potere accomodante dell’immagine corporea non è determinato né dall’istinto né dalle altre persone, ma dal significante (p. 141). Ricordiamo che la modalità autistica di accesso al linguaggio è caratterizzata dal rifiuto dell’effetto del significante. In questo senso, l’autismo può anche essere caratterizzato da un rifiuto dell’effetto dell’ideale dell’Io, che comporta un disturbo nella costituzione dell’immagine corporea. Per questo motivo, il fatto che Williams e Grandin siano stati in grado di stabilire le loro coordinate soggettive a livello dell’Io-ideale ha anche un effetto sul loro rapporto con il corpo. Come riferisce la Williams (1994), dopo la pubblicazione dei suoi libri si sente meno tagliata fuori dal suo corpo. Dice di essere riuscita a percepire il suo corpo da una posizione più intima: dall’interno piuttosto che dall’esterno, come se “fosse reale, fosse mio e facesse parte di me” (p. 234).

L’identificazione con l’Io ideale e il suo effetto sul corpo ci porta alla questione del genere, della sessualità e dell’identità sessuale nell’autismo. Molti studi recenti hanno sottolineato l’ampia sovrapposizione tra autismo e modalità trans e non binarie di genere (Williams, Allard & Sears, 1996; Tateno, Tateno & Saito, 2008; Jones et al., 2012; Jacobs et al., 2014; Glidden et al., 2016; van der Miesen et al., 2018; George & Stokes, 2018). Alcuni studi suggeriscono che i tassi più elevati di identità di genere trans/non binaria siano un sintomo di autismo (Coleman-Smith et al., 2020). Questi studi generalmente partono dal presupposto che l’autismo e l’identità di genere trans/non binario siano entrambi non normativi e intrinsecamente distorti e che quindi debbano derivare l’uno dall’altro (Walsh & Jackson-Perry, 2021).

Nel suo insegnamento, Lacan (1988) ha sempre sottolineato che la sessualità umana è caratterizzata da un “disturbo eminente”, che “nulla in essa si adatta” e, quindi, che non esiste un tipo di sessualità “normale” (pp. 138-139). Egli ricorda che già nei “Tre saggi sulla teoria della sessualità” di Freud (1905b) si nota un’inclinazione a descrivere la sessualità umana come fondamentalmente “polimorfa e perversa” (p. 191). Pertanto, nell’ambito della psicoanalisi, le identità di genere trans/non binarie sono “anormali” quanto quelle normative. In questo senso, la prevalenza statistica non gioca alcun ruolo nell’associarle all’autismo. Da una prospettiva lacaniana, piuttosto che ipotizzare che l’interazione tra autismo e identità di genere trans/non binarie abbia origine in un deficit condiviso, la sessualità autistica e l’identità di genere sono entrambe descritte in termini di relazione singolare del soggetto con il linguaggio e il corpo.

Secondo Lacan (1988), a differenza degli animali che comunemente mettono in atto comportamenti sessuali in accordo con una serie di spunti istintuali predeterminati e specifici della specie, gli esseri umani devono affidarsi al simbolico per fare sesso. In questo senso, un animale avrebbe solo un numero limitato di comportamenti sessuali, mentre per gli esseri umani il significante apre una “possibilità noetica”, una possibilità di sapere qualcosa, di dire qualcosa sul proprio genere, sulla propria sessualità e sulla propria identità sessuale, indipendentemente dall’istinto (p. 125).

In particolare, Lacan sostiene che il fallo è il significante che determina l’identificazione del soggetto in termini di genere: un soggetto o lo ha o lo è nella sua fantasia fondamentale. Tuttavia, Lacan (2006) osserva che per alcuni soggetti la funzione del fallo è diffusa, aprendo la strada a identificazioni di genere più “fluide” (p. 471).

Nel loro ricorso al segno, i soggetti autistici sono anche in grado di costruire campi di conoscenza sistematizzati su genere, sessualità e identità sessuale. I campi di conoscenza sistematizzati, costruiti con l’aiuto dei segni, rappresentano comunemente relazioni coerenti e vincolate da regole tra concetti e oggetti. Tuttavia, da una prospettiva psicoanalitica lacaniana, la sessualità umana e il genere non possono essere sistematizzati in modo coerente o, più precisamente, non sono adeguatamente sistematizzati nel dominio simbolico.[7] Quando sono codificati in un sistema fatto di segni, la sessualità umana e il genere rivelano la loro natura incoerente, rendendoli problematici. Pertanto, il fatto che i soggetti autistici siano in grado di percepire chiaramente che i campi di conoscenza sistematizzati sulla sessualità e sul genere sono “imperfetti”, potrebbe renderli più aperti a identificarsi in contraddizione con essi (Kristensen e Broome, 2015). Una visione di questo tipo ritrae l’identificazione di genere autistica come vantaggiosa in quanto più aperta a percorsi di identificazione più “fluidi” in termini di genere, sessualità e identità sessuale (Walsh & Jackson-Perry, 2021, p. 56).

Gli orli incorporanti sono campi di conoscenza sistematizzati che costruiscono un ideale immaginario personalizzato che, in alcuni casi, estende e delimita una posizione dalla quale il soggetto è in grado di identificare e formulare una prospettiva unica sulle relazioni sessuali e sul piacere. L’incorporazione di cerchi permette anche l’identificazione con un Io ideale supplementare, in modo simile all’identificazione con l’Io-ideale. Quando questa identificazione ha un effetto soggettivo profondo, può portare il soggetto dalla “disforia di genere” – uno stato di ansia, depressione, irritabilità, malessere e dissociazione dalle prestazioni di genere (Perrotta, 2020) – a quella che alcuni chiamano “euforia di genere”; si tratta di “un distinto godimento o soddisfazione causato dalla corrispondenza tra l’identità di genere della persona e le caratteristiche di genere” (Ashley & Ells, 2018, p. 24) che è “inteso in termini di aumento del benessere soggettivo associato all’affermazione di genere” (Bradford et al, 2019, p. 3).

Il lavoro di incorporazione dei bordi nella clinica dell’autismo ruota attorno all’investimento delle proprie capacità sistematizzanti e della funzionalità linguistica nello sviluppo della curiosità in relazione agli altri e al legame sociale. Il lavoro è innanzitutto diretto dagli interessi del soggetto. In questo senso, non si basa su una nozione predeterminata del proprio posto nel mondo. Non tutti i soggetti autistici desiderano adattarsi agli standard sociali, ad esempio integrarsi e trovare un lavoro, o sono interessati al sesso o a un partner sessuale. Se lo sono, i loro particolari campi di interesse vengono implementati per raggiungere questi obiettivi. Tuttavia, a differenza dell’approccio pedagogico, l’orientamento psicoanalitico lacaniano mira a un effetto soggettivo. Questo effetto si realizza attraverso le identificazioni del soggetto che si concretizzano nella costruzione di un Io ideale supplementare o Io-ideale. Questo “saper-fare” (savoir faire) non è enciclopedico; si basa sulla sintesi di campi di conoscenza sistematizzati che generano nella realtà del soggetto una perdita piuttosto che un eccesso. È in relazione a questa perdita che il desiderio del soggetto può essere incorporato nel suo rapporto con la società e con gli altri.

La clinica dei bordi

Nel suo saggio “L’inconscio e il corpo parlante” (2016), Jacques-Alain Miller sottolinea che Lacan, nel suo insegnamento successivo, era determinato a sostituire il termine “inconscio” con il suo neologismo “parlêtre“. Rispetto all’analisi del sintomo, che è una formazione dell’inconscio strutturata come un linguaggio, l’analisi del parlêtre ruota intorno al “sinthome“, un evento del corpo. Questo adeguamento concettuale costringe Miller a postulare una transizione nella comprensione psicoanalitica del parlêtre, proponendo la nozione di “corpo parlante” come sostituto.

Nell’autismo identifichiamo costruzioni di bordi unici che tentano di trattare la preclusione del bordo del circuito pulsionale. Se oggi prendiamo in considerazione i modi notevoli in cui i bordi supplementari del soggetto autistico influenzano la sua realtà psichica, possiamo descrivere una nuova modalità del corpo parlante? Se c’è stato un movimento dal parlêtre al “corpo parlante”, sarebbe utile a questo punto esplorare il movimento dalla nozione di “corpo parlante” alla nozione di “corpo fatto di bordi” – dove il godimento ritorna sul bordo segnato dal significante o dal segno. Il reale, il simbolico e l’immaginario non sono essi stessi dei limiti? E il loro intreccio non è in realtà un annodamento di bordi? Questo ci porta a un passo dal “neo-bordo” autistico (Laurent, 2012, pp. 69-70), aprendo la possibilità di una discussione sui bordi nevrotici e psicotici ordinari e sul loro annodamento. Designare la clinica dell’autismo come ruotante attorno alla costruzione supplementare del bordo potrebbe essere una strada da percorrere. Tuttavia, credo che sarebbe saggio trarre ulteriori lezioni dai soggetti autistici, lezioni che potrebbero essere implementate anche nel nostro lavoro psicoanalitico con soggetti nevrotici, perversi e psicotici.

 

Data:

20/05/2022

Note:

[1] Nel suo scritto “Sul narcisismo: An Introduction” (1914), Freud discute la sua nozione di Selbstgefühl in questo contesto. Cfr. versione tedesca, p. 165, versione inglese, p. 98.

[2] Si veda la discussione completa sulla distinzione tra significante e segno in: Brenner, 2020, pp. 223-235.

[3] Ripetizione meccanica e manipolazione di parole e frasi come se fossero oggetti fisici tangibili.

[4] Nowel et al., 2020, hanno suddiviso gli interessi speciali degli autistici nelle seguenti categorie: TV, oggetti, musica, giocattoli, collezioni, animali, costruzioni, trasporti, arte, macchine, meccanica, cose, numeri, lettura, matematica, tempo, mappe, astronomia, geologia, computer, persone, date, sport, misure, piante, religione, orari, storia, fisica, politica e psicologia.

[5] In Il soggetto autistico: On the Threshold of Language (2020) ho descritto l’accumulo di conoscenze acquisite sulla base del ricorso del soggetto al segno “l’Altro sintetico”. In questo senso, si potrebbe dire che questo effetto soggettivo crea una “mancanza nell’Altro sintetico”, corrispondente alla nozione di Lacan di “mancanza nell’Altro”.

[6] Un gruppo numeroso di persone, che supera la capacità di conteggio del soggetto, è posto qui come complemento dell’Altro.

[7] Qui si potrebbe alludere alla famosa formula di Lacan: non c’è relazione sessuale (Lacan, 1998, pp. 35, 44).

 

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Cenni biografici:

Leon S. Brenner è un teorico di psicoanalisi e consulente psicologico di Berlino. Il lavoro di Brenner attinge alla tradizione freudiana e lacaniana della psicoanalisi e il suo interesse è rivolto alla comprensione del rapporto tra cultura e psicopatologia. Il suo libro Il soggetto autistico: On the Threshold of Language, è un bestseller in psicologia pubblicato da Palgrave/Springer nel 2021. È uno dei fondatori di Lacanian Affinities Berlin e Unconscious Berlin e attualmente è ricercatore presso l’Università Psicoanalitica Internazionale di Berlino e l’Hans Kilian und Lotte Köhler Centrum (KKC) della Ruhr Universität Bochum.

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