Che cosa possiamo imparare dalla crisi cinese Covid-19?

Lo scoppio dell’epidemia di Coronavirus sta assumendo proporzioni di pandemia. Questo evento, che coinvolge gli scienziati di tutto il mondo, pone anche delle questioni agli psicoanalisti. Esse riguardano il corpo come cosa data, esistente prima di ogni considerazione sulla sua condizione psichica. Crediamo che gli psicoanalisti debbano accettare la sfida e dirci cosa può insegnarci questo stato di predominanza del corpo.

 

Monique Lauret, membro della Fondazione Europea di Psicoanalisi (EFP), che ha lavorato in Cina per molti anni e parla cinese, ci fornisce una lettura della maniera in cui le autorità cinesi hanno affrontato quest’epidemia.  Non solo da un punto di vista politico, come spesso si fa, ma alla luce della cultura millenaria del Regno di Mezzo. Sottoponiamo perciò questo testo iniziale alla riflessione degli psicoanalisti.

 

Che cosa possiamo imparare dalla crisi cinese Covid-19?

 

 

Le cose non vanno mai come ci si aspetta, c’è sempre qualche fattore                                                                                                                                                                                                     imprevisto al quale ci si deve adattare, e che stravolge la direzione originaria della volontà. In quanto esseri umani, dobbiamo avere a che fare con quanto è inatteso del corpo, della malattia, della morte, questo reale che arriva senza preavviso, che bussa alla nostra porta e ci ricorda della nostra condizione di mortali.  La fantasia di controllo totale che sostiene il progetto ideologico della scienza si scontra con questo reale incontrollabile del mistero del vivente, un reale che l’Occidente tende a negare entro un’utopia totalitaria.

 

La comparsa di un nuovo virus in Cina, verificatasi in una città altamente simbolica del centro del paese, Wuhan, ha creato, insieme al rischio di pandemia mondiale, un movimento planetario nutrito di paure arcaiche, di angosce di morte e di panico, di reazioni difensive primarie come il ritiro e il rifiuto dell’altro, con tutto l’odio razzista che riemerge da periodi non molto lontani della storia. Il risveglio del dragone incontra un ostacolo,  ma possiamo imparare dal modo in cui il popolo cinese affronta questa prova. La Cina ha scelto la forte misura antica di salute pubblica, la messa in quarantena dell popolazione colpita, col rischio di un arresto della produzione economica e di infliggere sofferenza alla popolazione sottoposta alle misure di isolamento per contenere l’inizio dell’epidemia. Le quali sembrano riuscire.  Il punto d’equilibrio in cui la tendenza all’estensione esponenziale della malattia si può invertire forse è stato raggiunto, come nel movimento alterante di Yin e Yang.  Il pensiero cinese è ciclico e non lineare come quello occidentale, il pensiero lineare che sottende l’ondata tecnologica attuale. È interessante inoltre rilevare che la parola cinese per isolamento, gélí, 隔离 che associa due caratteri, per “dividere” e “allontanare” è tradotta in Occidente come “confinamento”, un termine in uso in campo nucleare e biologico, all’interno del discorso scientifico.  Messi alla prova i cinesi si piegano, si piegano come una canna ma non si spezzano.  La loro forza interiore deriva dalla sedimentazione del pensiero confuciano e di quello taoista  radicati da duemila anni, che privilegiano l’uomo nel mondo e nella società  contrariamente al pensiero occidentale che privilegia l’individuo. Nel Ren confuciano, il sentimento d’umanità, l’uomo non diventa umano che nella relazione con l’altro, è questa la virtù suprema. Per gli occidentali imbevuti di conoscenza scientifica al servizio della globalizzazione, il risveglio rischia d’essere più doloroso. Ma potrebbe anche essere interessante entro la possibilità di rimettere in discussione una globalizzazione della dismisura basata sull’avidità, sul profitto rapido, in dispregio delle condizioni etiche del contratto sociale fra gli esseri umani, e senza considerazione per un pianeta devastato dalle sue stesse scelte.

 

Insegno da oltre dieci anni in Cina la psicoanalisi francese insieme a diversi colleghi per formare terapeuti cinesi e sono a Wuhan da quattro anni. La Cina investe per migliorare il suo sistema di salute mentale, allo stesso modo in cui ha investito ultimamente per la creazione rapida di ospedali per l’epidemia. Quello a cui assisto da dieci anni è una formidabile sviluppo e un grandissima apertura nei confronti del know-how francese. Saprà la Francia investire per evitare il declino dei suoi ospedali e trattare questa crisi sanitaria? Così mentre l’Occidente, prigioniero di un’ideologia tecnico- scientifica improntata a un ripiegamento verso il razionale, il teorico, il burocratico, dell’ordine di una regressione,  si chiude alla dimensione dell’inconscio e alla psicoanalisi, la Cina le spalanca le porte, moltiplicando nelle sue città i centri di formazione universitaria, i centri di cura, la creazione di residenze in spazi verdi e i convegni internazionali. C’è un passaggio inaspettato fra il pensiero cinese e la psicoanalisi, due pensieri concernenti il mantenimento della dimensione dell’umano nell’uomo e che rappresentano il  mio lavoro di ricerca. La risposta orientale è diversa da quella occidentale. La psicoanalisi è un sistema di pensiero vivente in costante divenire, che la Cina abbraccia, contrariamente al mondo occidentale la cui idea di progresso coinvolge oggi uno svuotamento del pensiero, la subordinazione dell’umano al pensiero dominato dal profitto, centrato sulla macchina, razionale. Ciò che perdiamo in Occidente, e ciò che i cinesi guadagnano, ci può insegnare in cambio, in un movimento circolare, qualcosa sulla condizione umana nel mondo.

Tradotto dall'inglese da :

Pietro Pascarelli

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European Journal of Psychoanalysis