Il caso di Barbara Capovani. DISCUSSIONE APERTA.

Con questa lettera del Dr. Euro Pozzi, apriamo una tribuna aperta sul delitto dell’ospedale Santa Chiara di Pisa.

Scrivete a: advanced.psychoanalysis@gmail.com

 

Lettera al Direttore di EJP.

 

Il titolo dell’articolo pubblicato a mia firma su EJP del 27 marzo 2023: “Psichiatra: un mestiere pericoloso a sé e agli altri” (https://www.journal-psychoanalysis.eu/articles/psichiatra-un-mestiere-pericoloso-per-se-e-per-gli-altri/)

appare oggi, dopo la terribile uccisione della collega di Pisa, agghiacciante perché tragicamente profetico. Avevo pensato a quel titolo come un’ironica ripresa della dicitura presente nella legge istitutiva dei manicomi (1904) per evidenziare come una sentenza, occorsa al sottoscritto nel 2008, riaprisse la logica manicomiale riconducendola ora sulle spalle del singolo psichiatra imponendo ai professionisti degli inesigibili – alla luce della legge vigente e degli scarsi strumenti – obblighi di custodia. Per sintetizzare questo concetto ho introdotto in quelle righe il neologismo di “terricomio”.

Il fatto di sangue che portò a quella sentenza è in parte sovrapponibile al tragico fatto di Pisa: in quel caso fu un educatore ad essere ucciso da un paziente presso una Comunità (2000, Imola), mentre nei giorni scorsi la vittima del paziente è stata una psichiatra. Educatore e medico sono professionisti, ma sono innanzi tutto due persone strappate all’amore dei loro cari per mano di un folle. Con la sentenza del 2008 i magistrati trovarono un colpevole: lo psichiatra che a fronte della non imputabilità dell’omicida fu a propria volta condannato per “omicidio” dell’educatore poiché, a dire dei magistrati, non aveva protetto il folle assassino dalla sua stessa malattia con le adeguate terapie farmacologiche. Ma come se la caveranno i magistrati nel caso odierno in cui la vittima è la psichiatra? La sentenza del 2008 e l’omicidio di Pisa sono collegati dal sottile filo dello stesso obbligo che impone agli psichiatri di arginare l’impossibile. A distanza di anni penso che il problema all’epoca non furono i Magistrati (che non sanno di Psichiatria), ma i periti e alcuni gruppi di psichiatri che non presero posizione su quella sentenza e ancor oggi non dicono nulla sui limiti della propria disciplina. Gli psicofarmaci certamente sono un importante aiuto quando riducono l’impatto di alcuni sintomi bersaglio ma questa è solo la premessa al lavoro dei tanti altri professionisti che operano nella Salute Mentale; occorre però affermare che gli psicofarmaci, seppur utili, non controllano i comportamenti umani né tanto meno la pericolosità (che è e resta un giudizio sui comportamenti formulabile da chiunque e non è il sintomo di alcuna sindrome psichiatrica). Nell’articolo ho provato a sviluppare varie ipotesi sul perché gli psichiatri non dissero che gli psicofarmaci non servono a controllare i comportamenti umani e non funzionano così magicamente come tanti vorrebbero. Da quel silenzio deriva la rassegnata operosità di tanti psichiatri che oggi lavorano nei Servizi di Salute Mentale: tacciono il fatto di non poter controllare i comportamenti umani, ma forse continuano, inconsapevolmente, a credere e far credere che questo sia possibile.

Dimettendo la persona che poi l’ha uccisa la dottoressa Capovani ha compiuto un gesto profondamente professionale ed etico ammettendo umilmente i limiti della propria professione. Il bravo professionista conosce il proprio campo nella misura in cui ne riconosce i limiti.

Ritengo che la collettività psichiatrica avrà solo un modo per onorare la drammatica scomparsa della collega: non finire nel solito illimitato pantano dello scontro tra favorevoli e contrari all’istituzione manicomiale.

Euro Pozzi*

*Psichiatra, componente della Commissione “La responsabilità medica in ambito psichiatrico” istituita dall’Ordine dei Medici di Bologna nell’anno 2010

 

 

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European Journal of Psychoanalysis