Il Ritorno della Storia
Una riflessione sugli accadimenti contemporanei
Nonostante tutti i possibili paralleli, un abisso separa la crisi pandemica da quella della guerra in corso. Certo, entrambe ci hanno colto di sorpresa. Entrambe ci lasciano in eredità un mondo radicalmente cambiato. Entrambe rischiano di produrre un collasso economico e mutano le forme della comunicazione mediatica. Ma i protagonisti delle due crisi restano profondamente diversi. Non parlo dei protagonisti in campo – del virus in un caso, della Russia e dell’Ucraina nell’altro – ma degli orizzonti da cui provengono. Degli abissi da cui emergono. Nel primo caso dal regno della Natura, nel secondo dal mondo della Storia. Entrambe, Natura e Storia, hanno a che fare con la Vita e con la Morte, ma in maniera diversa. La prima, la Natura attraversa la vita dall’interno e dall’interno la conduce, prima o poi, alla morte. La Storia la insidia dall’esterno, con i suoi conflitti, ma le consente anche di rispondere, di reagire, appunto storicamente. Queste sono le potenze – Natura e Storia – con cui da tempo abbiamo ripreso a fare i conti e sempre di più dobbiamo farli. Ma consapevoli della loro radicale differenza. E che vanno affrontate con strumenti del tutto diversi.
Nel primo caso con quelli della scienza e della tecnica. Nel secondo con quelli della politica. Ovviamente i linguaggi, come i problemi, s’intrecciano in maniera insolubile. Anche la pandemia solleva questioni politiche e giuridiche non irrilevanti. Ma si è presto capito che trattare la crisi pandemica con il lessico della politica non avrebbe portato lontano. Anzi rischiava di confondere le acque, come è puntualmente accaduto. Tutto il contrario oggi, con la guerra in corso, che richiede un sovrappiù di politica, rispetto a quella finora messa in campo. Che, dopo la sua pretesa fine, la Storia tornasse a inquietare la vita, lo si era capito da tempo. Dopo la caduta del Muro di Berlino, che sembrava imbrigliare nella nuova rete globale le potenze negative del Novecento, già l’11 settembre 2001 dava il primo acuto grido d’allarme. Già allora la belle époque della globalizzazione lasciava il terreno a una crisi verticale del globalismo, con il risveglio degli appetiti nazionali. Ma oggi, con il ritorno della Russia imperiale e il riarmo della Germania, il Novecento torna a bussare con violenza alle nostre porte, con tutti i problemi lasciati irrisolti. Si sa che il postino suona sempre due volte e che la seconda è peggiore della prima.
Di fronte a questo repentino irrompere della Storia, che spacca il nostro mondo, riempendo i cimiteri europei non di vittime del virus, ma di vittime di guerra, la reazione della politica è stata debole e inadeguata. Anche il dibattito aperto in Italia è bloccato da una doppia riduzione di complessità, quella pacifista e quella atlantista. Entrambe hanno la loro bandiera. La prima la nobiltà di un’intenzione portata al suo culmine dall’impegno di Gino Strada, morto sul fronte della pace. La seconda il riscatto di un Occidente a lungo mortificato da sconfitte sul campo e dall’autoflagellazione cui da tempo si è dedicato.
Ma nessuna delle due bandiere – il neutralismo pacifista e l’orgoglio atlantista – appare adeguata al confronto con la Storia, con il suo ritorno e con il nuovo che ogni ritorno in grande porta dentro di sé. Mai come in questo momento, nelle città devastate dell’Ucraina, il noto s’intreccia con l’inedito. Le radici antiche con gli strappi recenti. Le ambizioni imperiali della Russia, mai cancellate dal comunismo sovietico, si scontrano con l’autonomismo ucraino, da sempre attratto dall’Europa. Come si poteva pensare che la Russia, che insieme all’America ha salvato l’Europa dal nazismo, potesse rassegnarsi e consegnarle quelle che a torto o ragione considera sue terre? E come pensare che nel mondo della comunicazione globale quelle terre restassero fedeli a una Grande Madre Russia gestita da un despota dai modi tirannici e da un gruppo di oligarchi arricchiti quanto corrotti?
In questo quadro lacerato da ferite antiche e recenti, conteso da due imperialismi entrambi indeboliti, ma ancora militarmente potenti, al cospetto di una Cina sorniona in attesa di ricavarne un profitto, solo una grande iniziativa politica dell’Europa – di tutta l’Europa, non di uno solo dei suoi leader – potrebbe aiutare a uscire da una catastrofe umanitaria che può trasformarsi in apocalisse. Come? Con quali strumenti? Con quali opzioni? La scelta di campo a favore dell’Ucraina è obbligata. Di fronte a un’aggressione brutale, che fa carta straccia di quel che resta del diritto internazionale, l’Europa non ha scelta. Non può tirarsi fuori o limitarsi alle sanzioni. Deve rispondere alla richieste dell’Ucraina – anche fornendole armi di difesa contro un potenziale genocidio – senza però rischiare una guerra aperta con la Russia.
Ma nel frattempo deve favorire una trattativa seria tra i due fronti che tenga conto delle ragioni di entrambi e delle radici storiche da cui esse nascono. La politica richiede sempre un misto di giustizia e realismo. Come diceva Max Weber, di convinzione e di responsabilità. Non si può trattare l’Ucraina come materia di scambio tra contendenti più forti. Ha tutto il diritto di scegliere la propria collocazione internazionale senza subire imposizioni. Nessuno può imporle un governo fantoccio, dopo che ha eletto democraticamente quello attuale. Ma, come sempre in politica, tenendo conto dei rapporti di forza esistenti e senza trascinare il mondo in una tragedia da cui verrebbe sommerso. La Storia non finirà mai di confrontarsi con il negativo. Come diceva il più grande filosofo moderno, non può abbassare gli occhi. Deve guardarlo in faccia e fronteggiarlo.
Data:
09/03/2022