INCERTEZZE DEL GENDER. Riflessioni dalla periferia dell’Impero
Relazione come discussant al discorso di Ilene Philipson nel seminario Incertezze del Gender, 10 novembre 2023.
Le riflessioni che seguono nascono dalla lettura del testo di Ilene Philipson, Gender Trouble, Authoritarianism, and the Flight from Womanhood. Si potrebbe dire che sono un confronto attraverso un oceano di acqua e di realtà socio-culturali. Nel dire questo sto pensando a Umberto Eco, a quella raccolta di saggi che aveva come titolo Dalla periferia dell’impero. Cronache da un nuovo medioevo. Lì Eco rifletteva da semiologo sull’Italietta degli anni ‘70: provinciale, un po’ bigotta, in ritardo sulla storia. I paesi mediterranei erano alla periferia dell’impero americano.
Ilene Philipson descrive una realtà – nei campus, nel mondo universitario statunitense – molto diversa da quella italiana, ma se è vero che noi siamo alla periferia dell’impero, presto anche da noi arriverà l’onda autoritaria. Segnali già vi sono.
Io, comunque, qui e ora percepisco ancora una forte omo-trans-fobia negli ambienti accademici e – lo sottolineo con particolare enfasi – anche psicoanalitici.
Faccio solo un esempio. Nelle discussioni di casi clinici che mi capita di fare con i colleghi, se la storia clinica riguarda un non-cisgender, prima o dopo qualcuno farà delle ipotesi sul perché lo è divenuto. Se invece si tratta di un eterosessuale, nessuno si porrà il problema sul perché lo è diventato.
Butler docet?
Tra l’altro, talvolta questo virus omo-trans-fobico non si coglie negli ambienti psichiatrici. Forse perché la psichiatria (DSM oriented) non si pone la domanda “ezio-patogenetica” (la causa del disagio) come fa la psicoanalisi che indaga l’origine nell’evoluzione psicosessuale, ma si limita ai segni-sintomi da guarire. Oltre ad essere “ateoretica”, è “anetica”. Quindi nessuna omo-trans-fobia, con la gioia di Big Pharma che si arricchisce anche con i trans che si cibano dei bloccanti della pubertà.
Leggendo Philipson, si dovrebbe pensare che tutto è risolto riguardo alla riflessione sul Gender? Ne siamo sicuri? Ci dobbiamo solo occupare degli “effetti collaterali” come l’autoritarismo postmoderno?
Forse l’omo-trans-fobia assente nel campus di Berkeley è ancora presente nelle province del Texas. In quale direzione guardare a proposito del Gender?
Intendiamoci: è senza dubbio vero l’autoritarismo della “crociata auto-glorificante” e immune alle critiche di alcuni attivisti Trans, ciò che Philipson definisce la nuova “caccia alle streghe”. Anche nel nostro ciclo di conferenze ne abbiamo assaggiato un po’. Ma è questo il focus sul quale concentrarsi?
Mutatis mutandis, mi viene in mente uno scritto di Lenin del 1920, Estremismo malattia infantile del comunismo. Lì, a proposito della differenza tra “dittatura delle masse” e “dittatura del partito”, Lenin introduce quel fenomeno, la dittatura del partito, che partorirà lo stalinismo. Ne stiamo pagando le conseguenze ancora oggi.
Sono per lo meno 2000 anni che coloro che non si riconoscono nel binarismo maschio-femmina subiscono una persecuzione assolutamente disumana e molto spesso criminale, forse dobbiamo storicizzare questa reazione “estrema”, “autoritaria” e “infantile”, e leggerla come “effetto collaterale” della ipermodernità.
Ilene Philipson, da psicoanalista che si afferma socialista-femminista, ritiene – contro la filosofia psicoanalitica di Judith Butler – che occuparsi del “simbolico” è fuorviante riguardo alla sfera “materiale”. Anzi, occuparsi del simbolico produce una sorta di “Distrazione di massa” (Distraction/Destruction), in quanto annulla la “materialità” della condizione femminile (Karen Horney).
Mi rappresento quindi la contrapposizione tra un Femminismo socialista e un Femminismo simbolico che di nuovo, mutatis mutandis, mi fa tornare alla mente quello che alcuni decenni fa in Italia si rappresentava come il conflitto tra un Operaismo economicista e un Culturalismo dei diritti civili. Contraddizione insanabile?
In Islanda, a Reykjavik, il 24 ottobre di quest’anno c’è stato uno sciopero contro il Gender Gap che ha interessato il 90% della popolazione delle donne e delle persone che non si riconoscono nel binarismo di genere.
È quindi possibile che la materialità sociale e l’identità simbolica possano condividere uno spazio politico e anche psicoanalitico?
Altro tema è quello della problematicità intrinseca dello spettro teorico LGBTQ+. Le teorizzazioni sul Gender sicuramente sono piene di contraddizioni interne riguardo alla soggettività sessuata. Ma esiste una teoria pura? La psicoanalisi da Freud in avanti è stata piena di contraddizioni e paradossi, ciò che le ha dato vitalità nei cambiamenti.
Vero è che paradossalmente spesso le persone LGBTQ+ tendono all’affermazione rigida, monolitica della loro soggettività sessuata. Si dimenticano della cosiddetta “fluidità”, ovvero di ciò che Alenka Zupančič definisce in qualche modo l’insondabilità del sessuale, il suo rimanere un mistero per tutti noi. Inclusi i cisgender, come ci insegna la psicoanalisi quando ci parla di “sembianti” maschile e femminile. Non siamo maschi o femmine, ci sforziamo di sembrarlo.
A proposito degli “effetti collaterali” delle teorie del Gender, vorrei proporre un’osservazione clinica che ho percepito frequentemente. Ciò che io ho osservato nella stanza di analisi è che le persone che si collocano nell’area identitaria LGBTQ+ – in particolare adolescenti e giovani adulti nel periodo post-COVID – hanno un’attività erotica-sessuale molto ridotta se non assente. La mia osservazione statistica, sia chiaro, riguarda un ordine di decine di soggetti, non decine di migliaia, comunque.
Il mio sospetto-timore è che l’enfasi sulla collocazione soggettiva-identitaria riguardo alla sessualità allontani dalla pratica della sessualità. Forse fanno perfino meno l’amore dei binari…
Il simbolismo identitario allontana dal corpo?
Un’ultimissima osservazione sul caso di Olivia-Oliver riportato da Philipson (a cui io darei il titolo Histoire d’O, ricordate il romanzo e il film?).
Perché non si può essere sia autistico sia trans?