Intervista a Sergio Benvenuto su “Lo psichiatra e il sesso” (Mimesis)

Intervista pubblicata su ‘La Verità’ (quotidiano), il 9 giugno 2021

Intervistatore: Francesco Borgonovo

Lei scrive nel suo libro (Lo psichiatra e il sesso) che il Dsm è una sorta di manuale Cencelli. Per quale motivo?

Il manuale Cencelli era il modo in cui si assegnavano i posti di governo di una volta: si doveva tener conto accuratamente non solo dei vari partiti, ma anche di calibrare le varie correnti in seno ai partiti. Analogamente, il DSM è il risultato di un’accurata calibrazione delle varie correnti presenti nella psichiatria americana (le correnti presenti nella psichiatria di altri paesi non vengono prese minimamente in considerazione, gli americani di solito pensano di essere la scienza e la medicina tout court). Non solo, è il risultato di una calibrazione anche delle varie lobbies etico-politiche presenti nella società americana. Come femministe, veterani di guerra, LGBT+, gruppi etnici, ecc. ecc. Alcuni colleghi mi hanno chiesto come si può tradurre “manuale Cencelli” in inglese. Ho risposto: “DSM”.

Mi sembra emblematica, a questo proposito, la decisione politica riguardante l’omosessualità. Come fu presa?

Come spiego nel libro, la decisione fu presa con un voto di tutti i membri dell’American Psychiatric Association nel 1974: la cancellazione dell’omosessualità vinse con il 58% contro il 38%. Sottolineo il carattere anti-scientifico, e piuttosto politico, del modo in cui la decisione è stata presa: una vera comunità scientifica non risolve mai le controversie al proprio interno con un voto! La relatività di Einstein venne accettata dai fisici non attraverso un voto, ma perché essi furono profondamente convinti dagli argomenti di Einstein. La cancellazione prevalse perché proprio in quegli anni dilagava il movimento dei gay per i diritti civili, a cui i media avevano dato grande rilievo. Insomma, si trattò di una decisione politica. Con questo non voglio affatto dire che sarebbe stato “scientifico” mantenere l’omosessualità come patologia! Il punto non è questo.

Perché nel corso degli anni il Dsm muta atteggiamento nei confronti delle cosiddette perversioni sessuali?

È mutato perché è mutata la morale prevalente. La psichiatria vuol spacciarsi come una scienza neutra, immune dagli influssi dei “teatri e dei mercati” come diceva Bacone, ma io mostro che è vero esattamente il contrario. La diagnosi psichiatrica è anche un giudizio morale velato, come dire di una donna “è un’isterica” per esempio. Nella misura in cui certe “perversioni” sono oggi accettate come comportamenti sessuali ammissibili, il DSM si è allineato. Credo che verranno considerate parafilie (perversioni), in futuro, solo gli atti penalmente perseguibili: certe forme sadiche e la pedofilia. Le pratiche masochiste, ad esempio, sono sempre più ammesse come forme “legittime” di piacere sessuale. Ho visto in televisione, in altri paesi, che degli uomini descrivono compiaciuti la loro scelta di essere “schiavi” di una donna.

Lei avanza alcuni dubbi, se così si possono definire, riguardo la definizione di disforia di genere. Che cosa non la convince?

In effetti lo stesso DSM-5 ci fornisce gli elementi per criticare la categoria di disforici di genere così come la illustra. Penso che le persone che sentono di appartenere all’altro genere sin dall’infanzia sono molto diverse dalle persone che sentono questo a partire dall’adolescenza. E in effetti spiego come la gravitazione erotica di questi due tipi di “disforici” sia molto diversa. Propongo di distinguere due categorie: Transessuale e Transgenere Immaginario. Entrambi poi vanno distinti dai “travestiti”, che è una parafilia (perversione) e ha tutt’altro senso.

Lei scrive, tra le altre cose, che si nota come una predominanza del concetto di genere. Che cosa intende?

In effetti, sempre più nel discorso parlato anche in italiano non si dice più “il sesso di quella persona” ma “il genere di quella persona”. Ciò è dovuto all’influsso della cultura americana di oggi, che distingue appunto sempre più sesso e genere. Per sesso si intende ormai il sesso anatomico o fisiologico, per genere si intendono le categorie anagrafiche. Dicendo che una persona è “di genere femminile” intendiamo sempre più il fatto che si comporta come una donna e ci appare donna, ma senza ipotecare con ciò i suoi genitali. I genitali sono una cosa, i ruoli culturali di uomo e donna… e altro, sono un’altra cosa. Ma la queer theory, che sta prendendo sempre più piede, contesta anche la nozione di gender: essa insiste sul fatto che tutte le identità sessuali sono fluttuanti. Che tutti siamo quel che Freud diceva dei bambini: dei perversi polimorfi.

Nel libro lei riflette sul concetto di assegnazione di genere. Che c’è di problematico in questo termine, assegnazione?

Da psicoanalista, do molta importanza all’uso delle parole. Preferire una parola a un’altra è la spia di impliciti molto importanti. In effetti, noto nel libro che oggi si dice “genere assegnato” anziché “sesso biologico”. Perché? Perché vogliamo togliere sempre più valore al dato biologico. Questa tendenza è in rotta di collisione con l’etica cattolica, ad esempio, che invece divinizza in qualche modo le differenze biologiche. Per la cultura che sta sempre più predominando, almeno in America, il sesso è un fatto anagrafico, una qualifica sociale. Grazie alla tecnologia, pensiamo, ogni dato biologico può essere cambiato o addirittura annullato.

 

Sembra di capire che anche la definizione di disforia di genere si basi su ragionamenti politici: è così?

Politici in senso lato, diciamo culturali. Per le ragioni appena dette: viviamo in una cultura dove vige il principio che il sesso non è più qualcosa che si è, ma qualcosa che si sceglie. Questo vale anche per la morte: non è più solo qualcosa che subiamo, ma qualcosa che vogliamo scegliere. È un corollario del liberalismo in senso lato.

Ma non è un po’ pericoloso diagnosticare la disforia di genere a un ragazzino o a un bambino sulla base di queste premesse?

Non è la diagnosi a essere pericolosa, dato che la diagnosi non implica alcuna “cura”. Il vero problema sociale è fino a che punto occorra autorizzare le operazioni chirurgiche che molti disforici di genere richiedono per cambiare sesso. Questo è veramente un problema politico, ovvero, “lo stato può farsi carico di un cambiamento di genere per via medica?”

L’angoscia che hanno molti familiari di disforici di genere è: “Ma se lui/lei cambia sesso, non rischierà poi di pentirsene un giorno? Ovvero, non rischierà poi di essere infelice?” Le questioni diagnostiche in questo caso sono solo questioni accademiche.

Crede che in futuro questa tentazione alla politicizzazione causerà dei problemi?

La politicizzazione è connaturata, direi, alla psichiatria. Tutta la grandiosa opera di Michel Foucault mostra proprio questo: che la psichiatria (una branca abbastanza moderna, ha solo un paio di secoli di vita) si è data una prosopopea scientifica ma, di fatto, è stata sempre uno strumento politico in senso lato.

Ad esempio, la tendenza oggi è di non curare affatto gli psicotici che non danno fastidio, che non creano problemi sociali. Chi pensa mai a curare quelli che parlano da soli per strada? Quel che sostengo nel mio libro non è che la psichiatria è politicizzata, piuttosto, che la psichiatria stessa è, in gran parte, un apparato politico. Si prenda il caso dell’omosessualità: la sua de-patologizzazione coincide quasi con la sua depenalizzazione. È sbagliato dire: “a un certo punto un omosessuale non è stato considerato più un criminale, ma un malato da curare”. In realtà, quando si è smesso di considerare un omosessuale un criminale, si è anche smesso di considerarlo un malato… Spesso i giudizi morale, legale e psichiatrico coincidono. Per “politico” intendo il sistema etico e giuridico di una società.

Si prenda la diagnosi, sempre più comune, di deficit di attenzione e iperattività nei bambini. Un tempo si considerava un fatto caratteriale la vivacità di certi bambini, oggi è un disturbo da curare. Ma questo non è il risultato di una scoperta scientifica: è che tolleriamo sempre meno dei bambini che non siano ottimali. Un tempo si diceva “certi studenti sono asini”, oggi si dice “certi studenti soffrono di disturbi dell’apprendimento”, ovvero sono da curare. Tolleriamo sempre meno il fatto che certe persone siano meno efficienti del richiesto. Si sono alzati gli standard nei confronti di ciascuno, tutti devono essere ottimi, e questo è un fatto politico in senso lato.

I centri specializzati segnalano un numero crescente di casi di disforia di genere negli ultimi anni (nel Regno Unito in particolare, ma anche qui in Italia). Pensa che il Dsm abbia qualcosa a che fare con questo? Quali potrebbero essere le cause secondo lei?

Potremmo cavarcela col dire che la disforia di genere è una moda… Non credo che sia un effetto del DSM, che si è limitato a cambiare il nome del transessualismo ad ogni edizione. Il voler cambiare sesso non è che uno dei tanti aspetti del fatto che la nostra cultura usa la tecnologia per cambiare quella che un tempo era chiamata “natura”. Così per le madri tardive dopo la menopausa, per i trapianti di organi, per la fecondazione assistita, la chirurgia estetica, l’aborto, ecc. La natura viene vista sempre più come una macchina, la quale, come ogni macchina, può essere aggiustata, cambiata, riprogrammata… Basta sostituire alcuni pezzi. Siamo in un’epoca di ebbrezza tecnologica: pensiamo che tutto ciò che un tempo era dato di fatto, ora va considerato costruzione, artefatto. Vogliamo poter scegliere il nostro corpo, il nostro sesso, se invecchiare o meno, ecc. C’è qui certamente una tentazione babelica della nostra cultura: la tecnologia è la nostra torre di Babele.

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European Journal of Psychoanalysis