La capacità di amarsi. «Charlie’s Divan» Da Charlie Hebdo

in Charlie Hebdo n. 1178, 14 gennaio

 Voglio parlare della difficoltà che l’essere umano incontra ad aprirsi alle domande che l’altro pone con la sua differenza, a far posto alla differenza dell’altro e, cominciando da qui, a riconoscere che non lo fa alla sua: né allo scarto tra ciò che vuole e ciò che fa, tra i suoi desideri e i suoi fallimenti; né allo scarto tra i reali che sono causa delle sue pene e delle sue gioie e quei reali stessi. Preferisce negare i motivi che si nascondono dietro l’elemento emotivo, censurare l’emozione, nel timore di essere sorpreso in flagrante delitto di mancanza della padronanza di sé [manque de maîtrise].Questo atteggiamento ha una ragione: la paura. La paura dell’individuo di ritornare sulle vie del passato, di rivisitare gli amori infantili nella loro realtà, di vedere veramente dove si trovava nelle sue emozioni di un tempo, che a tratti risorgono a sue spese. Di solito preferisce la nostalgia, che in greco, etimologicamente, è ‘sofferenza del ritorno’ e che tradurrei con ‘scelta della sofferenza’, in quanto figura, a torto, per l’uomo come prova d’amore. Tale scelta spinge l’uomo fuori di sé, assai lontano, perché è questo rifiuto del ritorno, questo rifiuto di pensare a sé che lo induce a tentar vanamente di trovare rifugio in quello che lo sguardo dell’altro dice di lui, e dunque a non essere più sé stesso.

Lo stesso ricercare [le même recherché] in amore non può che svalutarsi, alla lunga, nell’insoddisfazione, la sofferenza e l’ansia in quanto la chiave di ciò che si è, la chiave della propria identità, alla quale l’altro viene sostituito, nessun altro da sé la possiede. […] Lo dice bene Milan Kundera nell’Ignoranza: «In spagnolo Añoranza viene dal verbo Añorar (avere nostalgia) che viene dal catalano Enyorar, derivato dalla voce latina Ignorare. In questa luce la nostalgia appare come sofferenza dell’ignoranza». L’esperienza mostra che si può scegliere: soffrire d’ignoranza per coltivare la nostalgia di un sogno d’amore originario e assoluto, atteggiamento che costringe l’uomo a non vivere l’amore (con i suoi piaceri e le sue pene) quando appare, là dove appare, a non calarsi mai nel momento presente per mantenere il fantasma della sua totalità. Oppure si preferisce smettere di ignorare e si intacca l’amore del proprio sogno, sola condizione per cui, spogliato dei suoi orpelli metafisici, l’amore, cioè la relazione con l’altro, si sbarazzi della sua fatalità e divenga, nella relazione con sé [avec soi], realtà.

[…] Qui la società e il soggetto si incontrano: nella ricerca di un’autorità da cui dipendere, ma di cui si conosce l’abuso di potere. Quest’autorità è tanto quella del sistema sociale, politico, economico, quanto dell’altro il cui abuso è sotto gli occhi di tutti, ma di cui non si può fare a meno. È lo stesso meccanismo che attacca l’individuo che esita, che ha paura di essere libero, di seguire il suo desiderio, di costruire la propria vita, l’individuo che vuole avere la benedizione di un’autorità, ma così facendo prova l’umiliazione prodotta dal bisogno di chiedere il permesso.

Diritto e psicoanalisi si incontrano in un punto comune, perché i principi del diritto: liberté, égalité, fraternité, sono [anche] il fine della psicoanalisi. Il diritto, dal punto di vista collettivo, e la psicoanalisi, da un punto di vista individuale, hanno la funzione di limitare nell’uomo l’abuso, regolandolo. Perché, se la psicoanalisi ha scoperto qualcosa di fondamentale, cioè che la sofferenza umana deriva dall’abuso, quest’abuso a sua volta deriva dalla credenza, da tutto quel che si è bevuto, da tutto quel che si è creduto. Abusare dell’altro non è un segno di onnipotenza perversa, abusare è un segno di alienazione, ed ugualmente essere abusato dall’altro. Ora, per uscire da questi rapporti di dominio e scoprire un rapporto positivo con l’altro, aperto, non fondato sulla negazione di sé e, di conseguenza, dell’altro, non c’è altro mezzo che disfarsi di tutte le illusioni con le quali siamo stati preconcetti, concepiti in precedenza [nous avons été préconçus].

Notes:

[** 1] Questo inciso: «con sé» è grammaticalmente duro e logicamente inesplicabile. Sembra alludere a una conquista del Sé. L’ho lasciato tal quale.

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European Journal of Psychoanalysis