Pierre Legendre, l’università e la psicoanalisi

Pubblichiamo, a seguito della scomparsa di Pierre Legendre (1930-2023), un articolo di Per Magnus Johannson che ne ripercorre la vita e l’opera.

 

 

Pierre Legendre nasce il 15 giugno 1930 in Normandia, da una modesta famiglia. Compie gli studi universitari prima a Rennes, poi nella capitale. Vive a Parigi da più di cinquant’anni. Legendre è innanzitutto un intellettuale poliedrico che ha una ampia e solida formazione universitaria. Come giurista, ha insegnato nell’università a partire dal 1957. La sua tesi di dottorato, La Pénétration du droit romain dans le droit canonique classique, è stata pubblicata nel 1964, quando aveva 34 anni. Ha operato in tutta la sua vita nell’ambiente accademico. Per molti anni ha insegnato all’École Pratique des Hautes Etudes. Agrégé in diritto romano e in storia del diritto, è Professore Emerito presso l’Università di Parigi I Panthéon-Sorbonne e Direttore Onorario degli studi presso l’École Pratique des Hautes Etudes, nella sezione Scienze religiose.

Critica dell’università

Legendre ha costantemente criticato l’evoluzione dell’istituzione universitaria nella quale per tanti anni ha insegnato, deprecando che la trasformazione dell’università d’élite in una università di massa abbia alterato la qualità dell’insegnamento, del pensiero critico e della ricerca. Studenti e insegnanti sono sempre meno diligenti nel lavoro e meno inclini alla tenacia che una autentica ricerca universitaria esige. L’odierna università è eccessivamente assoggettata a un discorso di tipo ideologico.

Sottolinea il valore educativo di una cultura umanistica e l’importanza di salvaguardare una formazione di tipo storico. Se la storia delle religioni e la storia del diritto rappresentano il suo campo di elezione, egli è nondimeno in possesso di una profonda conoscenza della letteratura e della filosofia. Pierre Legendre viene spesso definito un antropologo, ma la poesia e i poeti hanno sempre occupato un posto importante nella sua vita.

L’officina di film documentari

Il cinema esercita una forte influenza su di lui. Per lungo tempo ha intrattenuto regolari rapporti con il cineasta americano di origine greca Elia Kazan (1909-2003) e con i registi tedeschi Volker Schlöndorff (nato nel 1939) e Wim Wenders (nato nel 1945). Suo importante interlocutore sarà anche il documentarista americano Frederick Wiseman (nato nel 1930). La frequentazione di questi registi lo porterà a scrivere egli stesso sceneggiature cinematografiche. I testi dei suoi tre documentari, La Fabrique de l’homme occidental (1996), Miroir d’une nation: l’École nationale d’administration (1999) e Dominium Mundi. L’Empire du Management (2007), saranno pubblicati in un unico volume nell’ottobre 2016[1]. I tre film, tratti dai lavori di Pierre Legendre, sono stati diretti da Gérald Caillat.

Un umanista

Legendre scrive le sue opere in francese e legge il latino, il greco, il tedesco e l’inglese. Le biblioteche sono il suo habitat naturale. Dice addirittura che spera di morire in una biblioteca. È quello che nel mondo accademico anglosassone viene chiamato un ricercatore umanista vecchio stile. Legendre ha uno stretto e profondo rapporto con la lettura e la scrittura; grazie al suo cosmopolitismo, coltiva anche un vivo rapporto con culture e lingue differenti: ha in particolare grande conoscenza di molte culture africane e grande familiarità con la cultura giapponese e la cultura nordamericana, compresa quella canadese.

Il suo lavoro verte su ciò che l’attuale comprensione dell’Occidente ha dimenticato e negato, e sull’analisi delle strutture genealogiche della civiltà occidentale e le sue trasformazioni. Lo fa attraverso una genesi storica che risale almeno al diritto romano, la cui origine si colloca intorno al 451 a.C.

Legendre critica l’evoluzione della società occidentale e offre spesso testimonianza del suo pessimismo, per non dire della sua disperazione. Tuttavia, in relazione a un lontanissimo futuro che è di là da venire lascia a volte affiorare un sorprendente ottimismo. Un ottimismo legato all’essenza stessa dell’umanità che, egli pensa, finisce sempre per ritrovare la sua vitalità. Il che non gli impedisce però di sostenere che “in questo mondo siamo guidati da barbari”[2]. Il mondo per molti aspetti non può che migliorare e ristrutturare sé stesso, questa è la linea di pensiero portata avanti da Legendre.

Psicoanalista critico

Pierre Legendre ha una solida formazione psicoanalitica e ha esercitato la professione di analista presso la École freudienne di Parigi, nella sua qualità di Analista della Scuola (AE). Accanto alla sua carriera universitaria, Legendre ne ha condotta un’altra di psicoanalista nella École freudienne, di cui è stato membro per sedici anni, dal 1964 al 1980. Senza mai derogare dal proprio pensiero e dai propri scritti, conserverà sempre il suo spirito critico, pur nell’accettazione dei limiti di questa istituzione, mantenendo un piede dentro e l’altro fuori: ispirato dal pensiero di Jacques Lacan senza per questo divenire lacaniano.

Ha ricoperto il ruolo di psicoanalista per più di quarant’anni. Il suo studio era ubicato in una tranquilla via del 7° arrondissement, nei pressi dell’ambasciata di Svezia. A più di 85 anni, riceveva ancora qualche paziente. La pratica psicoanalitica e l’esperienza che ne ha tratto nutrono il suo pensiero e i suoi scritti, anche oggi che il suo studio è ormai chiuso.

 

Gli effetti del discorso dogmatico sul soggetto

Sia nel lavoro clinico che nella scrittura, Legendre ha sempre cercato di comprendere il sistema di pensiero dominante e il posto che esso occupa in ognuno di noi. In L’Amour du censeur. Essai sur l’ordre dogmatique (1974) e Jouir du pouvoir. Traité de la bureaucratie patriote (1976), vengono analizzati gli effetti che il discorso dogmatico ha sul soggetto: la funzione dogmatica del diritto. In essi viene studiata la struttura immaginaria del potere e l’amore che l’individuo, consapevolmente o meno, nutre per il potere. Per lui non esistono società senza struttura di potere, e ogni raffigurazione di una società senza un potere non è altro che una nuova forma di totalitarismo.

Nasciamo in una struttura genealogica nella quale ognuno di noi dovrebbe occupare un suo posto preciso. Questa struttura sarebbe da perpetuarsi nelle istituzioni che costituiscono la base della società e della stessa condizione umana; occorre quindi salvaguardare le istituzioni che riescono a fornire ai loro membri una collocazione accettabile. È anche necessario fare una attenta analisi delle difficoltà per cui le istituzioni si ritrovano in una situazione di impasse. Questa analisi si lega sempre a una ricostruzione di tipo storico. Il discorso che le istituzioni portano avanti trova il suo modello nel discorso della dogmatica cristiana del Medioevo. Questa è la posizione sostenuta da Pierre Legendre.

Scriveva Freud nel 1921 in Psicologia delle masse e analisi dell’Io, all’inizio del libro: “La contrapposizione tra psicologia individuale e psicologia sociale o delle masse, contrapposizione che a prima vista può sembrarci molto importante, perde, a una considerazione più attenta, gran parte della sua rigidità”[3].

Legendre ha dato indubbiamente una lettura costruttiva del pensiero di Freud e tale lettura è stata in parte influenzata dall’insegnamento della psicoanalisi offerto da Lacan nei suoi seminari.

 

La censura

L’Amour du censeur. Essai sur l’ordre dogmatique, apparso nella collana “Le Champ freudien” diretta da Jacques Lacan per le Éditions du Seuil, è un libro fondante e pionieristico. È il primo ad elaborare il rapporto tra quel concetto psicoanalitico di grande importanza e il diritto romano. Notiamo innanzitutto che nella tradizione freudiana la censura rappresenta un concetto fondamentale. Questa istanza psichica proibisce l’emergere nella coscienza di un pensiero inconscio e lo fa apparire in un’altra forma. Sigmund Freud ha usato per la prima volta il termine “censura” nel dicembre 1897 in una lettera a Wilhelm Fliess, nella quale paragonava l’irrazionalità di certi deliri al fenomeno della censura in politica. Parole, frasi, paragrafi interi vengono soppressi, in modo tale che ciò che rimane diventa più o meno incomprensibile. Questa idea di censura e illeggibilità venne ripresa nel 1900 ne L’interpretazione dei sogni per indicare i mascheramenti a cui l’espressione del sogno viene sottoposta da parte del processo di rimozione. Freud a questo proposito ha usato i concetti di condensazione e di spostamento.

Nella prima topica dell’apparato psichico, adottata fino al 1920, la censura viene esercitata, per un verso, tra l’inconscio e il preconscio e, dall’altro, tra il preconscio e il conscio.

Già nel 1914, in Introduzione al narcisismo, Sigmund Freud inizia a identificare la censura con una coscienza morale, il che lo porterà in seguito, nell’ambito della seconda concezione topica dell’apparato psichico, a partire dal 1920, a identificare la censura con il Super-io, risultando quindi essenziale per la comprensione dei concetti complementari al Super-io: l’Es e l’Io.

“Una liturgia della sottomissione”

Legendre ha parlato della sua opera come di una “antropologia dogmatica”, facendo riferimento, in qualità di storico delle istituzioni, a un duplice sapere, quello della storia del diritto medievale e quello della psicoanalisi. Analizza così il costituirsi delle burocrazie occidentali e quella che lui chiama “una liturgia della sottomissione”. Il diritto canonico (insieme a quello romano) e la teologia cristiana e scolastica giocano un ruolo determinante nella comprensione di tali burocrazie.

Il libro individua nel funzionamento del diritto canonico nel Medioevo il modello di ciò che ancora va a costituire in tutti noi l’autorità del giurisprudenziale, dell’amministrativo e, da ultimo, delle scienze umane. La nostra stessa concezione dell’amministrazione e della scienza è segnata dal diritto canonico e dalla teologia scolastica.

Legendre analizza il potere della censura da una prospettiva storica strettamente legata alle istituzioni e descrive l’odio e l’amore per il potere, nonché il modo in cui tale amore si manifesta nella storia. Secondo Legendre, qualsiasi discorso proveniente da un’istituzione trova il suo modello nel discorso dogmatico cristiano del Medioevo. Egli mostra anche che i concetti psicoanalitici non sono sufficienti per analizzare il potere e il suo rapporto con le istituzioni. Ha quindi costantemente studiato quali ricadute abbia il lavoro degli psicoanalisti che trascurano il sapere legato alla storia della letteratura, alla religione, al diritto, alla filosofia e alla storia delle idee. In questo senso, egli continua la linea di pensiero di Freud e Lacan. Il disagio della civiltà e la sofferenza psichica sono fenomeni molto complessi da comprendere. Gli interrogativi sono molteplici, le risposte spesso insufficienti e troppo rigide. La psicoanalisi non fa per tutto.

Il potere delle immagini

Legendre pone la sua insistenza sul potere delle immagini e ribadisce la necessità per gli psicoanalisti di comprendere la radicale importanza del ‘montaggio’ che le istituzioni compiono sull’immaginario. Descrive, per esempio, nel 2022 – nella prefazione a un numero della Revue politique et parlementaire, dal titolo “Maestà delle immagini”[4] – due tipi di cerimonie, avvenute una in Europa e l’altra in Cina: l’apertura del Concilio Vaticano II, a Roma, nella Basilica di San Pietro nel 1962, e il XIX Congresso del Partito comunista cinese, riunito nel Palazzo dell’Assemblea del popolo a Pechino nel 2017. L’autore vede operare in esse la medesima esigenza teatrale: “mettere in scena l’Emblema supremo”, facendo riferimento a un versetto biblico: In imagine ambulat homo, secondo la vulgata latina[5] (“Certo l’uomo va e viene in figura”, nella versione Diodati del 1821[6]).

Il potere dell’immagine è alle radici della costruzione umana, scrive ancora Legendre. Lo specchio ha un ruolo determinante nell’introdurre il bambino al gioco delle immagini: separare e insieme unire. Nello specchio, il bambino percepisce un’istanza di potere. Una prima esperienza del potere delle immagini. L’estetica gioca qui un ruolo decisivo. La cosa che interessa Legendre è comprendere una struttura che, al servizio del potere che conosce e che perdona, riesce a preservare nella fede i soggetti e a “farli andare”. Il teatro dell’istituzione, questa pura parvenza, ci fa andare avanti. L’immagine – l’io ideale –, il Cristo-capo medievale, poi laicizzato ma solo per essere rimpiazzato da innumerevoli sostituti – lo Stato e i suoi annessi e connessi –, diventa per l’individuo il proprio censore, colui che conosce e che perdona. In lui l’istituzione è sempre presente. La macchina funziona in sordina e ovunque. “La verità dogmatica consiste nel cancellare dalla scrittura la sua traccia di storia; è allora che nasce il testo”[7]. Pierre Legendre non dimentica mai che, senza alcun dubbio, il gene dell’istituzione si trova inscritto nella storia delle religioni. Il suo è un approfondimento degli studi portati avanti da Freud sulla religione, il suo ancoraggio istituzionale e il posto che occupa presso l’individuo. Nel suo modo di procedere, la differenza tra l’analisi di un individuo e il rapporto che egli ha con l’istituzione diventa assai complicata e, nelle sue estreme conseguenze, scompare. Impossibile da distinguere. Le maschere del potere cambiano e i dogmi si trasformano. Ma non si cancellano mai. Un discorso che si presenta come al contempo sovversivo e rivoluzionario, può diventare dogmatico, scolastico e burocratico. Gli esseri umani amano l’oppressione. La censura e l’amore della censura restano indissociabili dal desiderio di sottomissione. Comprendere il discorso dogmatico e l’impasse positivista è, secondo Legendre, una cosa importante ma anche particolarmente complicata. La tendenza, caratteristica del nostro tempo, a sostituire il pensiero con semplici cifre conduce inevitabilmente in un vicolo cieco. Dalla sua opera gli psicoanalisti dovrebbero imparare che la posizione di analista implica la necessità di prendere seriamente in considerazione la storia dell’umanità e i suoi effetti inconsci sull’individuo.

 

 

 

[1] Le Cinéma de Pierre Legendre. Introduction à l’anthropologie dogmatique, cofanetto che riunisce i testi e i DVD dei tre documentari, Ars Dogmatica, 2016, http://arsdogmatica.com/oeuvres/films/

[2] Pierre Legendre, Vues éparses. Entretiens radiophoniques avec Philippe Petit, Paris, Mille et une nuits, Fayard, 2009, p. 177.

[3] Sigmund Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), p. 261.

[4] Revue politique et parlementaire, no. 1102, Paris, 21 aprile-giugno 2022. http://www.revuepolitique.fr/

[5] www.arsdogmatica.com/analecta/majeste-des-images

[6] Salmo 39, versetto 6.

[7] Pierre Legendre, L’Amour du censeur. Essai sur l’ordre dogmatique, Paris, Seuil, 1974, p. 90.

 

Traduzione dal francese di Renato Benvenuto

 

Per Magnus Johansson (nato il 28 settembre 1950) è uno psicoanalista, psicoterapeuta e storico delle idee svedese. Attraverso una ricerca sulla storia della psicoanalisi in Svezia, Johansson ha contribuito alla comprensione dell’eredità di Sigmund Freud e del movimento psicoanalitico nel 20° secolo.  La formazione psicoanalitica di Johansson ha avuto luogo a Parigi, dove ha completato l’analisi didattica con Pierre Legendre.

Nel libro En psykoanalytikers väg (Il cammino di uno psicoanalista) Johansson è stato intervistato sulla sua vita e sul suo lavoro. Questo libro include una traduzione francese, , Le cheminement d’un psychanalyste con una prefazione di Elisabeth Roudinesco.

Johannson ha curato per l’European Journal of Psychoanalysis una sezione  speciale sulla psicoanalisi in Svezia e ha pubblicato “Sweden and Psychoanalysis”, n. 17, Summer-Winter 2003

https://www.journal-psychoanalysis.eu/articles/sweden-and-psychoanalysis/

 

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European Journal of Psychoanalysis