Recensione a: Aldo Marroni “E.M. Cioran. Lo stilita senza colonna” Mimesis 2022
Non si può negare il risalto che ultimamente sta avendo l’opera di Emil M. Cioran (1911-1995), in particolare l’inedito Finestra sul nulla, pubblicato da Mimesis, da alcuni ritenuto un buon punto di partenza per approfondire i nostri tempi, caratterizzati da emergenze pandemiche e incognite politiche. Il pensatore romeno, vissuto per lungo tempo a Parigi, tra alti e bassi, ma arrivato ben presto ad una singolare notorietà, è considerato, a torto o a ragione, il vero erede di Nietzsche del secolo scorso, fervente nichilista che va “più a fondo” del primo nell’analisi dell’esistenza umana catapultata nel nostro mondo. Però non tutto il quadro critico è roseo. Ad esempio, Alfonso Berardinelli, sul Venerdì di Repubblica del 9 settembre 2022, lo liquida come “una minuscola variante dell’Oltreuomo che Nietzsche idolatrò”. Non vi poteva essere figura più emblematica di questa per scatenare i pruriti ideologici e critici da parte di quella intellighenzia uscita delusa dal “secolo breve” dopo la fine delle ideologie (?), a cominciare dal comunismo.
Come si inserisce il saggio di Aldo Marroni in questo panorama articolato e intricatissimo? Non di certo rincorrendo la cronaca, spesso effimera e bisognosa di pelosi corteggiamenti per mirare al breve successo della notorietà massmediatica. Si tratta di uno scritto che bada alla sostanza del pensiero di Cioran, con capitoli tanto complessi quanto evocativi: “Un ribelle metafisico senza ribellione”, “La tirannia del destino e l’impossibile rinuncia”, “L’eterno ritorno del tempo in un apolide senza tempo”, “Il successo di un fallito metafisico”, “Cioran l’inattuale”. Certamente questi titoli fanno pensare al filosofo di Röcken per la loro forte coincidenza lessicale e tematica, ma guai a considerare Cioran un epigono privo di originalità e spessore speculativo.
Aldo Marroni ce lo dice subito, ad inizio del suo saggio: per capire Cioran dobbiamo rinunciare ai tipici passaggi del pensiero dialettico. Parlare di noia, disobbedienza, ribellione, destino, suicidio, libertà, non significa per Cioran ricerca di una sintesi oggettuale, risolutiva e definitiva. La filosofia che cerca di innalzarsi con il concetto è destinata alla inessenzialità. Questa soluzione non viene mai adottata, come se la produzione delle idee avesse il compito (se ve ne è uno in Cioran) di ricadere su se stesso, di implodere annullandosi, sbriciolandosi nella sua totale e irredimibile inefficacia. Proprio il fallimento della vita e del pensiero è considerato da Cioran un segno distintivo, un merito, un “programma” esistenziale. Né si dà particolare risalto in questo saggio ai trascorsi politici del romeno, che a metà degli anni Trenta, a Berlino, fu influenzato dalla cultura nazista, che in lui era però rivolta al recupero di una idea di “cultura di popolo”, sentita nostalgicamente, o la vicinanza al movimento della Guardia di Ferro, e la criticata amicizia con Mircea Eliade e Eugène Ionesco, altri fuoriusciti romeni, non meno conquistati di lui dal fascino delle religioni e della ricerca metafisica.
Che cosa si può dire di un personaggio alieno ai richiami dell’engagement del secondo dopoguerra, nella Francia di Sartre, Camus e Breton, partecipe della vita parigina degli esistenzialisti ma sostanzialmente appartato, passivo, amante dei moralisti francesi ma pur sempre a-morale e come estraniato, esiliato, apolide senza desiderio della patria aborrita? Questa somma di contraddizioni spiega la difficoltà di incontrare il pensiero di Cioran. Aldo Marroni lo fa con una scrittura fitta, aderente ai testi del filosofo, acuto commentatore di aforismi e ragionamenti contorti, al limite della comprensione. Cioran vuole mostrare i tratti oscuri dell’umano, raccontandoci la disumanità, l’inadempienza, i fallimenti, l’equivocità della vita, com’essa è priva di scopo, ma pur sempre attraente soprattutto per la profondità dei suoi vuoti, che fa pensare ad una metafisica anti-metafisica, negativa, apofatica. Non quella degli aristotelici e degli scolastici, quanto quella dei mistici della notte oscura, come in San Giovanni della Croce. Scrive l’autore: «Cioran si presenta nelle vesti di un profanatore della creazione, maestro del disinganno, cultore del potere disoccultante del non-sapere, adepto delle potenze del genocidio, emulo delle estatiche illuminazioni della beata Angela da Foligno e di santa Teresa d’Avila, proselito di un mistico dell’eccesso quale è stato George Bataille. Siamo nati per esistere in tutte le nostre bassezze e non per essere soggiogati dalla brama di conoscenza: obnubilati nella coscienza fin dentro le ossa dalla volontà di sapere, sedotti della verità voluta ad ogni costo, rinneghiamo la vita per le idee».
I titoli delle opere più conosciute di Cioran sono indicativi di questo malessere “teorizzato” fino all’estremo: Al culmine della disperazione del 1934, Sommario di decomposizione 1949, Sillogismi dell’amarezza 1952, La tentazione di esistere 1956, Squartamento 1979.
Ecco alcuni esempi di quel “potere disoccultante del non-sapere” di cui parla Aldo Marroni: sulla Ragione, Cioran nel Sommario parla di «eccessi suscitati dalla dea ragione, dall’idea di nazione, di classe o di razza… affini a quelli dell’Inquisizione o della Riforma»; sulla Storia, «miscuglio indecente di banalità e di apocalisse… La Storia: fabbrica di ideali, mitologia lunatica, frenesia delle orde e dei solitari»; sui Profeti Salvatori, «io mi sento più al sicuro accanto a Pirrone che a un san Paolo… al fanatismo vi si sottraggono solo gli scettici (o i fannulloni e gli esteti), perché non propongono nulla, perché ‒ veri benefattori dell’umanità ‒ ne distruggono i partiti presi e ne analizzano il delirio… La società ‒ un esercito di salvatori!»; su Dio, «caduta perpendicolare sul nostro terrore, salvezza che piomba come un fulmine in mezzo alle nostre ricerche che nessuna speranza inganna, annullamento brutale della nostra fierezza sconsolata, e volontariamente inconsolabile, avviamento dell’individuo su un binario morto, disoccupazione dell’anima per mancanza d’inquietudine…». Scrittura graffiante che attrae da un lato, rilucente di una sinistra bellezza e al tempo stesso esito scontato della resa della filosofia (morta?) alla letterarietà.
A questo punto verrebbe da chiedersi quale sia il fascino che il pensiero di Cioran continua ad esercitare per un lettore che non chiede teorie, è sedotto dalla rinuncia alla moralizzazione della vita e dalla negazione della volontà di raggiungimento di scopi pratici. Questo “stilita senza colonna”, come dichiara il sottotitolo del saggio di Aldo Marroni, trova larga approvazione nella nostra società perché vi è sintonia con un pensiero che denuncia (senza volerlo apertamente) il fallimento dei progetti della modernità: civilizzazione, progresso, benessere. L’autore di questo saggio non ha voluto forzare il pensiero di Cioran piegandolo a questa o a quest’altra visione delle cose. A lui il merito di averci restituito in tutta la sua genuinità il pensiero di un autore originalissimo che non sa essere convincente con le sue affermazioni, ma lo è con la forza distruttiva delle sue negazioni. Che resta il merito maggiore delle sue pagine.
Data:
22/09/2022
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