Se Dio non riconosce i suoi

Note sul disprezzo progressista per le masse

Per il webinar del 13 luglio 2021

Discussants: Felice Cimatti e Pietro Pascarelli

www.massenpsychologie.com

Partirò da un paradosso che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, e che non smette di lasciarmi costernato. Le masse sono l’oggetto d’odio e di disprezzo più canonico da parte della cosiddetta sinistra. “Le masse” sono sempre gli altri, le masse sono sempre becere e ignoranti, le masse leggono poco e probabilmente profumano pochissimo. Probabilmente, perché chi le ha mai viste da vicino?

 

Tutto questo disprezzo progressista presuppone uno sguardo che cala dall’alto, dalla prospettiva ariosa delle terrazze, dove tra una cena e l’altra si impara a frequentare la bella società aperta, e a tenere a grandi distanze i suoi nemici. Ma uno sguardo siffatto è uno sguardo di destra, anche se suppone di stare dalle parti della sinistra, e la cosa singolare è che l’oggetto del suo disprezzo aveva costituito per secoli la ragione stessa della sinistra, il terreno dal quale aveva desunto tutta la sua necessità, tutte le sue idee, tutte le sue proposte.

 

Questo scambio, che ha qualcosa di mostruoso, viene peraltro da molto lontano. Il testo di Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’io, è un testo assolutamente sintomatico, in questo senso. Certo, si affretta a premettere che da subito la vita psichica dell’individuo è anche vita sociale, che la linea che divide l’individuale dal collettivo è labile e astratta. Ma di fatto passa subito a pensare le masse come un puro e semplice prodotto di decadimento. Massa sarebbe un insieme di individui non più capaci di tener ferma la loro individualità. Una sfilza di creduloni, che cede all’ipnosi abbandonando quella facoltà presuntamente naturale che sarebbe lo spirito critico, cioè in ultima analisi il sentimento della separatezza del soggetto dall’esperienza degli altri soggetti.

 

In principio era l’individuo, pensa dunque Freud. “There is no such thing as society”, gli farà eco la meno prevedibile delle alleate della psicoanalisi freudiana, Margaret Thatcher. Un illustre contemporaneo di Freud, Bergson, pensava la questione in tutt’altri termini. In principio era la massa, la società degli insetti, il funzionamento di un gruppo che precede in ogni senso l’individuo, e che spesso non prevede in alcun modo la genesi di qualcosa di individuale. L’individualità è un’avventura singolare, una forma d’esperienza che a un certo punto e a certe condizioni si manifesta in certe società umane. Forma tutt’altro che universale e necessaria, e tutt’altro che ovviamente positiva e progressiva. Poi, quella forma d’esperienza che è l’individualismo si diffonde sempre più, ha sempre più successo sulla scena della storia. Ciò che l’ha portata a costituirsi è una forza nuova, potente, efficace. È la capacità di chiamarsi fuori, di considerare le cose del mondo da una certa distanza, di tenere in sospeso l’azione possibile considerandola appunto come una possibilità tra altre possibilità.

 

Bergson chiama tutto questo “intelligenza”. È una postura che ha i suoi vantaggi. Consente di riflettere e agire strategicamente, massimizza il vantaggio di alcuni mettendoli contro gli altri. È una forza essenzialmente liberista, si potrebbe dire. Per le stesse ragioni che fanno la sua efficacia, quella capacità inedita che è l’intelligenza porta con sé una specie di malattia strutturale. Le società di individui si ammalano del loro stesso individualismo, della loro stessa tendenza alla disgregazione. Ed ecco che le masse vedono la luce, non, però, come un prodotto di decadimento degli individui dalle altezze aeree dell’individualità, ma come un tentativo di rimediare ai guasti dell’individualità stessa. Le masse sono semmai un’invenzione, un farmaco specifico, un sintomo, nel senso psicoanalitico del termine, un tentativo di guarigione, un tentativo di costruire un equilibrio altrimenti impossibile. Un sintomo ambiguo e pericoloso, come ogni sintomo. E tuttavia un sintomo che va usato e non semplicemente evacuato, come ogni sintomo.

 

È su questa base che vorrei tentare una lettura non consenziente del testo freudiano, e un’analisi sintomale del sereno e diffusissimo disprezzo “progressista” per le masse. Analisi che, sola, sembra consentire, non tanto di meglio comprendere il testo di Freud o di Bergson, ma di meglio comprendere il nostro presente. Il che significa: il rischio fascista che lo abita, e il rischio ancor più fascista di colludere allegramente con quel rischio, dall’alto della propria certezza di essere da tutt’altra parte, e di star giocando tutt’altra partita.

Date:

13/07/2021

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European Journal of Psychoanalysis