Una tempesta più che perfetta
Amico spaesato. La tua casa è accogliente, tu sei un ottimo cuoco e questo vino del Salento è superbo. Mi manca però la nostra trattoria in Toscana. Siamo ben lontani dalla nostra gita in quei luoghi e da quanto ci dicemmo allora.
Storico. Manca anche a me. Tu allora dicevi di sentirti spaesato e profetizzavi una tempesta perfetta. Ne è venuta una più che perfetta; e questa volta sono io a sentirmi più che spaesato.
AS. Diciamo che di tempeste ne sono venute due: a quella che si annunciava allora se ne è aggiunta un’altra inattesa e maggiore. Allora avevamo presente la scena politica italiana. Notavamo come le forze al governo ottenessero consenso facendo leva su un modo di pensare magico radicato negli Italiani, ovvero promettendo loro soluzioni magiche, ma rovinose.
S. Ricordo che contestai la tua insistenza sul modo magico di pensare per spiegare una realtà complessa perché esprimeva la tua tendenza a ricondurre il molteplice all’uno e ti portava a non considerare l’insieme dei fattori del successo di quelle forze.
AS. Non credo mi si possa attribuire tale tendenza. Tendo piuttosto a stabilire nessi tra dati che compongono un molteplice. Certo, ciò porta a comporre quei dati in unità, ma sono unità provvisorie e a renderle tali ci pensi tu proponendomi altri dati. Quanto rende interessante il nostro dialogare è proprio questa distribuzione di compiti, questa dialettica.
S. Mi sa che quando parli di stabilire nessi hai in mente la teoria dei vincoli di Giordano Bruno.
AS. Forse sì, non ci avevo pensato. Ma è più appropriato immaginarci nel nostro dialogare come due bambini che giocano con i mattoncini del Lego: io li metto insieme a fare una costruzione che tu abbatti buttando là un’altra manciata di mattoncini. E così via.
S. Sui giocattoli hai ragione. È proprio così: i nostri discorsi non sono altro che giocattoli con cui ora ci distraiamo dallo spaesamento indotto dalla nuova tempesta e ci illudiamo di non essere di fronte ad essa impotenti. Resta però che il ricorso al modo magico di pensare del quale nella nostra gita di questa estate ti sei servito per connettere dati è seducente, ma semplicistico. A mio avviso ha esso stesso del magico.
AS. Sarà. In effetti Bruno considerava la ricerca dei vincoli come un’operazione magica, ma non in senso negativo. Però al momento accantoniamo questa diatriba. Notiamo piuttosto che, nel tempo trascorso da quella nostra gita, la stessa tempesta che allora prevedevamo è divenuta più incombente.
S. Cosa intendi?
AS. Prevedevamo il venir meno dell’unità d’Italia, la sua frammentazione in tanti piccoli stati in lotta tra loro come è accaduto in passato. La pandemia ha dato luogo a una lotta tra regioni, tra regioni e Stato e di tutti contro tutti sui provvedimenti intesi a fronteggiarla che ha reso più incombente quella frammentazione.
S. È vero, ma ciò passa in secondo ordine rispetto alla tempesta portata dalla pandemia. Essa minaccia non solo la frammentazione del contesto immediato in cui siamo vissuti, ma anche il crollo del mondo di valori in cui abbiamo creduto. Mi fa sentire impotente e senza speranza. Il mio lavoro, i libri che ho scritto, quello che sto ora scrivendo, mi sembrano del tutto inutili.
AS. Non la vedere a questo modo. Il libro che stai scrivendo è utile per te. È il tuo giocattolo al quale ti tieni stretto per arrivare a domani.
S. Sei il solito psicoanalista. Non ti basta fare il filosofo che vuole riportare il molteplice all’uno. Pensi anche di poter tranquillizzare gli adulti inchiodandoli alla loro infanzia.
AS. Non è proprio così. Sapere che il tuo lavoro, come il mio, sono giocattoli che ci aiutano ad arrivare a domani non ci acquieta più di tanto, anzi! Ma dimmi meglio di questo crollo del mondo di valori in cui hai creduto e che ti fa sentire impotente e senza speranza.
S. Non è tanto per quello che sta accadendo in natura, per questa pandemia che ci ha costretto a stare chiusi nelle nostre case e, data la nostra età, ha reso più incombente la prospettiva di dovere abbandonare anche quelli che chiami i nostri giocattoli. È per le risposte che le vengono date.
AS. Vuoi sostenere che la pandemia in sé non costituisce un problema?
S. Le pandemie ci sono sempre state.
AS. Ma questa è diversa.
S. È diversa solo perché la sua diffusione è più facile. Ma ciò è dovuto non a lei, bensì alla mutata condizione storica in cui interviene. Un tempo i più vivevano nelle campagne, ora nelle città dove il virus può meglio diffondersi. Inoltre chi viveva nelle campagne lì restava, e chi viveva in città poco si muoveva. Oggi, grazie ai mezzi di comunicazione e all’intensificarsi dei commerci, c’è un continuo spostarsi che accresce la possibilità di contagio. È questo, non la pandemia in sé, a renderla temibile.
AS. Non è solo questo, è anche lo spillover.
S. Che vuoi dire?
AS. È il titolo di un libro di David Quammen. Ho ritrovato le sue tesi in un recente libro di Ilaria Capua, La salute circolare. In breve, lo spillover è il fenomeno per il quale un agente patogeno compie un salto di specie: dapprima confinato nell’animale, passa poi all’uomo.
S. Ma è sempre stato così.
AS. Sì, ma ora è diverso perché quel passaggio è favorito dal fatto che la rincorsa alla produzione di beni e al profitto è venuta rompendo l’equilibrio tra mondo animale e natura e ha favorito quel passaggio. Le precedenti pandemie erano fenomeni naturali; questa è attivamente generata dall’essere umano; non, come quelle, dalla sola sua ignoranza delle cause del fenomeno e di norme igieniche che lo fronteggiassero.
AS. Sarà pur vero. Però, come ti dicevo, non è tanto la pandemia in sé a farmi sentire impotente e senza speranza, ma le risposte che le vengono date.
AS. Quali sarebbero?
S. Tu hai poc’anzi menzionato Ilaria Capua. Indubbiamente una bella persona, ma io penso alla sua onnipresenza in televisione.
AS. A me sembra che abbia solo meritevolmente funzionato da mamma degli Italiani. Il suo modo calmo di parlare e la trasparenza delle sue argomentazioni hanno tranquillizzato molti.
S. Sì, ma fosse stata solo lei! Lei è stata solo una figura del balletto che virologi, epidemiologi, medici hanno condotto intorno a questa pandemia. Per non dire della caterva di numeri, statistiche e quant’altro che è stata riversata dai mass media nella testa della gente. Un vero e proprio rito esorcistico.
AS. Allora la magia c’entra qualcosa!
S. Adesso non tirare l’acqua al tuo mulino. Un rito esorcistico può anche esaurirsi in se stesso. In questo caso quelle risposte esprimevano la rincorsa a un presunto bene che porta un male.
AS. A cosa ti riferisci?
S. Al netto dei litigi che hanno fatto parte di quel balletto rendendolo più appetitoso, l’autorità conferita alla scienza ha portato al blocco della da te deprecata rincorsa alla produzione e al profitto in favore della salvaguardia della salute; come se ci fosse da fare una scelta tra vivere e produrre, e come se la scelta del vivere in opposizione al produrre non portasse anch’essa al morire.
AS. Spiegati.
S. La tempesta più che perfetta non è la pandemia. La pandemia ne costituisce solo una delle sue condizioni. Quella tempesta non sarà il virus a portarla, ma il blocco della rincorsa alla produzione e al profitto. Già oggi se ne vedono le avvisaglie. Miei amici benestanti, che si sono prestati a rifornire di generi alimentari persone indigenti, si sono visti costretti a chiedere di prestare la loro opera in luoghi distanti dalla propria residenza per non vivere l’imbarazzo e la pena di incontrare tra i beneficiati amici e conoscenti.
AS. Cosa ti significa questo?
S. Con il PIL destinato a calare vertiginosamente, ci troveremo presto di fronte a una situazione di indigenza che porterà il caos e con il caos non solo molte più morti di quelle dovute alla pandemia ed alla sopradetta indigenza, ma anche il ritorno di mostri che credevamo si fossero allontanati per sempre e il crollo del mondo in cui abbiamo avuto la fortuna di vivere.
AS. Mi fai pensare a Cassandra e alla sua profezia. Cosa ritieni possa far sì che non si avveri?
S. C’è da chiedersi se non sarebbe stato meglio un po’ di morti in più per la pandemia, che tanti in più e il crollo di quel mondo per la risposta che si è scelto di darle su suggerimento dei nostri scienziati.
AS. Chiederselo è legittimo e non sei il solo a farlo, ma così ti si potrebbe dire che la pensi come Bolsonaro o come Trump, che non credo sia il tuo caso.
S. Infatti. Non ti fare ingannare dalle apparenze. Risposte formalmente identiche hanno significati e producono effetti diversi a seconda del fine per cui vengono date e delle condizioni in cui vengono date.
AS. In cosa il tuo invito a privilegiare la rincorsa alla produzione e al profitto rispetto alla salute differirebbe dalle scelte di quei due personaggi?
S. Non ho parlato di privilegiare. Ti ho solo ricordato quanto dovresti sapere: se una madre che pensa solo a nutrire il bambino finisce con il farlo scoppiare, una che pensa solo a riversare su di lui quello che ella crede essere il proprio affetto lo lascia morire di fame. Ma mettiamo da parte Bolsonaro, magari ne parleremo un’altra volta, e diciamo di Trump che ci riguarda da vicino perché dal suo futuro dipende quello dell’Europa e dunque il nostro. Il fine della sua scelta a favore della produzione e del profitto non è salvare più vite di quelle che sarebbero state salvate dalla scelta opposta: è essere rieletto e conservare il potere.
AS. In che modo?
S. Producendo un caos sul quale ergersi come restauratore della legge e dell’ordine: si sa che l’anarchia è sempre seguita da una forma di potere assoluto.
AS. Poc’anzi avevi parlato del caos come dovuto alla rinuncia alla rincorsa alla produzione e al profitto, ora ne parli come dovuto a questa rincorsa.
S. La scelta di Trump di privilegiarla fa parte di una strategia che non si avvale solo della promessa di soddisfare le attese legate a quella rincorsa, ma anche del caos dovuto alla diffusione incontrollata della pandemia. Si avvale poi anche di altri mezzi.
AS. Quali?
S. Il potenziamento del conflitto razziale per il perdurare delle discriminazioni, per l’endemica violenza della polizia e per un sistema sanitario che rende le minoranze particolarmente esposte alla pandemia. Si avvale anche del potenziamento delle tensioni internazionali. Trump è disposto a tutto pur di essere rieletto a novembre e mantenersi al potere. Anche a rischiare una guerra con la Cina, un terzo conflitto mondiale.
AS. Stai demonizzando un personaggio. Lo stesso errore che, con le debite differenze, ha fatto la sinistra italiana quando si è accecata trasformandosi nel partito degli onesti e riducendosi a demonizzare Berlusconi.
S. Nella nostra gita in Toscana abbiamo convenuto che Berlusconi esprimeva una tendenza diffusa nella società italiana. La stessa cosa vale ora per Trump.
AS. Quale tendenza della società americana esprimerebbe?
S. Incarna il momento attuale dello sviluppo storico della specifica forma di totalitarismo denominata “suprematismo”.
AS. Ti riferisci allo slogan “America first” con cui ha vinto le elezioni?
S. In qualche modo sì, ma quello slogan è insincero: egli non predica il suprematismo dell’America, ma di una sua parte che per lui deve diventare il tutto.
AS. Quale parte?
S. Avrai visto anche tu una sua foto che, nel pieno delle manifestazioni antirazziali innescate dall’ennesimo assassinio di un uomo di colore per mano della polizia, lo ritraeva in piedi davanti a una chiesa evangelica con una Bibbia in mano.
AS. Si l’ho vista. Cosa starebbe a dire secondo te?
S. Un tentativo di auto legittimarsi proponendosi in continuità con le origini della società americana, on quel momento del diciassettesimo secolo in cui un manipolo di Calvinisti, perseguitati in Inghilterra dalla Chiesa anglicana, attraversò l’Atlantico e approdò in America guidato dall’intenzione di realizzare una società ideale. Di recente è apparso su Limes un articolo di Dario Fabbri che ricorda come la guida di quei Calvinisti, John Winthrop, abbia rappresentato quella società come una città costruita su una collina. Quest’immagine può darti il senso globale della parola “suprematismo”.
AS. Spiegami meglio.
S. Il suprematismo ha due facce, una rivolta all’interno, l’altra all’esterno di quella città. Calvino aveva insegnato che i suoi abitanti, al pari di ogni essere umano, vivono nel dubbio di non sapere se già prima di nascere sono predestinati, dopo la morte, alla vita eterna o alla dannazione eterna. Aveva però aggiunto che potevano risolvere quel dubbio riconoscendosi e venendo riconosciuti come predestinati alla vita eterna quanti tra loro avessero avuto successo nella rincorsa alla produzione e al profitto. Gli eletti stabilivano una supremazia sugli altri abitanti della città e si sentivano investiti dalla missione redentrice di stabilirla sul mondo.
AS. A cosa ti riferivi quando hai parlato di un momento attuale del suprematismo?
S. Nel seguito della storia degli Stati Uniti, la rincorsa alla produzione e al profitto intesa a risolvere il dubbio sulla predestinazione è rimasta costante ed è venuta forgiando un particolare tipo umano. Nel romanzo Pastorale americana, Philip Roth lo ha rappresentato in un ricco proprietario di una ditta produttrice di guanti il cui mondo, racchiuso entro l’orizzonte di quella rincorsa, si scontra con la contraddizione portatagli da una figlia balbuziente animata dal rifiuto violento di quel mondo. Per parte sua, la missione redentrice degli eletti che abitavano la città sulla collina si è affidata all’esercizio di una violenza che, nel tempo. si è espressa in più modi: dal genocidio della popolazione autoctona, al razzismo nei confronti delle genti di altre etnie, all’invasione di altri paesi.
AS. Due identiche violenze?
S. Ambedue omicide intenzionalmente redentrici. Ma differiscono perché hanno bersagli diversi e soprattutto perché la prima è agita da un singolo, la seconda da una collettività. La prima fa capo a un delirio personale, la seconda a un delirio culturale. La violenza dell’adolescente balbuziente porta all’omicidio di quattro persone. L’altra al genocidio ed a stabilire segrete e inattese alleanze.
AS. Ovvero?
S. Segreta e inattesa è stata l’alleanza che il suprematismo americano ha teso a stabilire con un altro suprematismo. Di certo conosci anche il romanzo di Roth Il complotto contro l’America; dunque sai che sto parlando dell’alleanza con il suprematismo ariano, con il Nazismo.
AS. Conosco quel romanzo. È in programma per questa estate la sua trasposizione in una serie televisiva con l’intento di stabilire un nesso tra la finzione dell’elezione nel 1940 alla presidenza degli Stati Uniti di un Lindbergh asservito al Nazismo e la realtà dell’elezione di Trump nel 2016. Il romanzo però si conclude con la scomparsa di Lindbergh e con l’elezione di Roosevelt che porta l’America alla guerra contro la Germania nazista. Secondo Roth erano dunque presenti nella società americana anticorpi costituiti da un ordinamento giuridico ispirato agli ideali democratici di libertà e uguaglianza contenuti della Dichiarazione di Indipendenza del 1776. Essi avrebbero reso inefficace il tentativo di stabilire quell’alleanza. Per quanto se ne è detto, mi sembra però improbabile che l’intenzione di costruire la città sulla collina potesse accompagnarsi con ideali di libertà e uguaglianza.
S. Quegli ideali penetrarono nella cultura americana per altre vie. Alcuni hanno persino sostenuto che in quella penetrazione ci sia stato lo zampino di un Italiano, l’illuminista napoletano Gaetano Filangeri che fu in corrispondenza con Benjamin Franklin. Ma, tornando ai nostri Calvinisti, devi considerare che, come i sogni di cui ti occupi tu, i fenomeni storici sono complessi: sono, mi sembra sia questa la parola, sovradeterminati. Attraversando l’Atlantico, quei Calvinisti intendevano lasciarsi alle spalle le disuguaglianze vigenti in Inghilterra e liberarsi dal peso della Chiesa anglicana. In questo limitato senso portavano con sé anche un’idea di democrazia. La chiesa di fronte alla quale Trump ha esibito la Bibbia fa parte di una confessione religiosa affine a quella che ha condizionato il pensiero di Dewey nel quale il suprematismo implicito nelle radici calviniste della società americana ha trovato una formulazione rammodernata e strutturata. Egli ha infatti concepito la democrazia come un “organismo” in cui ogni stimolo ha già la sua risposta; in cui cioè tutto è predestinato ad essere compreso e deve finire con l’essere compreso, e tutto quanto non può esserlo deve venire annullato. Della parola “democrazia”, scissa da questo suo significato, il suprematismo si è avvalso per nascondersi sotto l’apparenza del suo opposto e diffondersi senza essere riconosciuto per quello che era. Una sorta di suo cavallo di Troia È infatti accaduto più volte che l’invasione americana di altri paesi sia stata giustificata come intenzione di esportare la democrazia, anche a costo di incorrere nella contraddizione di instaurarvi regimi autoritari.
AS. L’invasione di altri paesi ha spesso avuto altre motivazioni. Kissinger, nel suo libro, Ordine mondiale, spiega come rispondesse all’intenzione di stabilire quell’ordine e di opporsi al Comunismo. Tuttavia è vero che anche quest’opposizione era vista nei termini di una lotta contro il Male e che lo stabilire un ordine mondiale era visto come una missione. Credo però che tu stia pensando soprattutto all’invasione dell’Iraq.
S. Certamente, essa è un buon esempio di quanto ti sono venuto dicendo. L’immagine della città ritorna nel pensiero di Leo Strauss capostipite dei Neoconservatori che svolsero un ruolo determinante nel decidere quell’invasione. La sua città è circondata da alte mura costituite dai valori cristiani e biblici la cui difesa comporta la loro affermazione tramite la violenza presentata come necessaria all’esportazione della democrazia e dei diritti umani.
AS. Questa è però ormai acqua passata. È venuto poi Obama ad attivare gli anticorpi al suprematismo che Roth dava per presenti nella società americana.
S. Si. Ma anche lui, come Dewey, aveva e venerava una madre credente, ed anche lui aderì a una delle tante filiazioni di quella chiesa davanti alla quale Trump ha esibito la Bibbia; forse ciò ha avuto parte nelle esitazioni della sua politica. Comunque, dopo di lui è venuto Trump: il suprematismo si è rigenerato svolgendosi in una nuova forma.
AS. Perché parli di svolgimento?
S. Con Trump esso non si nasconde più sotto la foglia di fico dell’esportazione della democrazia e dei diritti umani. I Neoconservatori che hanno voluto l’invasione dell’Iraq credevano davvero di agire in difesa della città. George Bush, nel dare libero corso a quell’invasione, riteneva di obbedire al volere del Dio con cui sosteneva di parlare. Con Trump non è più così.
AS. Hai però poc’anzi tu stesso ricordato che egli si è esibito di fronte a una chiesa evangelica con la Bibbia in mano.
S. Si, ma quell’esibizione era solo uno strumento per ottenere consenso presentandosi come un nuovo Mosè che imponeva legge e ordine su una folla messa da lui in tumulto. Con lui il suprematismo si presenta nudo e crudo. Non si nasconde più dietro nobili intenzioni, che siano quelle fornitegli dalla religione o dagli ideali democratici. Mostra senza pudore e con orgoglio il suo volto nascosto, la sua sostanza.
AS. Permettimi una parentesi. Trump che esibisce la Bibbia mi ricorda Salvini che esibisce il rosario. Ne abbiamo parlato durante il nostro viaggio in Toscana. C’è un nesso tra il pensiero magico delle forze allora al governo in Italia e il suprematismo americano?
S. Sai già che non ero d’accordo con il tuo uso esasperato di quella categoria, e ancor meno lo sarei se tu me la riproponessi come chiave di lettura del suprematismo americano. Inoltre, rispondere alla tua domanda comporterebbe imbarcarci in una discussione sul rapporto tra magia e religione e non finiremmo mai. Però il rapporto di cui mi chiedi c’è. Steve Bannon, stretto consigliere di Trump, ha fatto frequenti viaggi in Europa, ove ha incontrato anche i leader della destra italiana, per ridefinire l’Occidente come un’identità nazionalista e cristiana. Parlando ai sostenitori di Marie Le Pen, gli è capitato di invitarli a lasciare si dicesse di loro che sono razzisti, xenofobi, nativisti, omofobi, ed anzi a farsene vanto.
AS. Mi hai risposto, chiudiamo la parentesi e torna a dirmi quale sarebbe il vero volto del suprematismo che si svelerebbe in Trump.
S. Posso provare a dirtelo parlandoti di un suo predecessore, del vice di George Bush, di Bob Cheeney. Non però propriamente di lui, ma di un film del 2018 di Adam McKay su di lui. È appunto intitolato Vice: l’uomo nell’ombra. Il sottotitolo si riferisce al suo stare nell’ombra del suo presidente e al suo operare senza apparire fino a realizzare una sorta di golpe bianco che lo portò ad essere il deus ex machina della politica americana degli anni 2000-2008. Ma io intendo nell’ombra di Trump, cioè l’essere la sua ombra, il dire di lui più di quanto egli dice di se stesso.
AS. Cosa avrebbero in comune?
S. In quel film c’è una scena particolarmente significativa. Quella in cui la moglie di Cheeney, Linnie, convince il marito ad agire senza ritegno per giungere al potere. Il dialogo tra i due ricalca le parole con le quali, nel Macbeth shakespeariano, Lady Macbeth convince il marito ad uccidere il loro re e ad usurparne il potere, e quelle del Riccardo III in cui Riccardo esprime la propria intenzione di usurparlo.
AS. Stai dicendo che quanto accomuna Trump e Cheeney, il vero volto del suprematismo che si svela in quest’ultimo, è la ricerca del potere? Mi sembra che la fai troppo facile. Ho visto anch’io quel film e dopo ho riletto quelle due tragedie. Portano ad affacciarsi su un abisso nel cui fondo è dato scorgere realtà umane sfuggenti e inattese che vanno oltre la ricerca del potere e senza le quali questa non ci sarebbe.
S. Forse su di esse tu puoi dire più di quanto possa io.
AS. Mi dai un compito che fa tremare le vene e i polsi. Non credo di essere in grado di scendere più di tanto in quell’abisso. Però, nel rileggere le due tragedie, mi è parso di comprendere che tanto Macbeth quanto Riccardo non cercano il potere per il potere, ma per risolvere le loro deformità: fisica quella di Riccardo, caratteriale quella di Macbeth giudicato irresoluto e pavido da Lady Macbeth, proprio come nel film Lady Linnie giudica tale il marito.
S. Il bisogno di risolvere la deformità non basta però a spiegare la ricerca del potere. Non tutti i gobbi ambiscono a un regno.
AS. Infatti è dato scorgere un’altra realtà umana in quell’abisso: tra la deformità e la ricerca del potere c’è l’odio.
S. Nei confronti di cosa?
AS. Di ciò che Macbeth e Riccardo ritengono di non essere in grado, per la loro deformità, di essere o avere. Macbeth ritiene di non poter avere le virtù del suo re Duncan; Riccardo di non poter godere delle attenzioni di una donna. Il loro odio ha la funzione di annullare ciò la cui esistenza dà loro la misura della propria deformità.
S. Posso comprendere quanto mi dici a loro proposito. Ma cosa c’entra con Cheeney e con Trump? Cosa c’entra soprattutto con il suprematismo di quei Calvinisti la cui missione di estendere al mondo la loro città avrebbe assunto con quei due una nuova forma che ne svelerebbe il volto segreto?
AS. Della deformità di Cheeney ti ho già detto. Di Trump non so, posso solo dirti che i suoi comportamenti sono palesemente deformi. In quanto a quei Calvinisti, erano convinti di esserlo.
S. Perché credevano nel peccato originale?
AS. Non solo. La Chiesa cattolica aveva messo a disposizione degli esseri umani il sacramento della confessione che assicurava loro la remissione dei peccati derivanti da quel primo peccato. Secondo il Calvinismo non c’è remissione: alcuni sono predestinati alla salvezza ed alla vita eterna, altri no. Come tu stesso hai ricordato, c’è solo la possibilità di riconoscersi ed essere riconosciuti come predestinati alla vita eterna avendo successo nella rincorsa alla produzione e al profitto. Anche nel loro caso tra la deformità e quella rincorsa c’è l’odio, ma è un odio diverso da quello che animava Macbeth e Riccardo perché si rivolge contro oggetti diversi.
S. Quali?
AS. Il legame che nel Calvinismo sussiste tra rincorsa alla produzione e al profitto e ricerca della certezza di essere predestinati alla vita eterna genera, più che odio, un’indifferenza nei confronti degli altri umani e della natura la quale conduce allo sfruttamento degli uni e alla devastazione dell’altra; sfruttamento che, abbiamo detto, è una delle cause dell’attuale pandemia. Ma non basta. L’autore dell’articolo di Limes che ho menzionato scrive della tremenda paura dei suprematisti che qualcuno sia felice.
S. Questo però può valere anche per Macbeth e Riccardo.
AS. Si, ma l’oggetto dell’odio dei suprematisti comprende qualcosa di più. Esso agisce in un momento storico che non è il tardo Medioevo in cui si svolgono le due tragedie shakespeariane. Non agisce contro la virtù di un re o l’immagine di un rapporto felice, ma contro il prima rispetto a loro.
S. Il prima? Ora sei tu a fare l’oracolo. Spiegati.
AS. Il prima era il luogo da cui provenivano, l’Europa. Nell’Europa che abbandonarono c’erano disuguaglianze e limiti alla libertà. Ma c’era anche l’idea di una originaria integrità degli esseri umani che si svolgeva in un’etica del riconoscimento, e il tentativo di ridare agli individui il potere di giocarsi il loro destino. Ricorderai che ne abbiamo parlato diffusamente nel nostro viaggio della scorsa estate.
S. Ricordo bene e, a questo proposito, mi viene di suggerirti di andare a visitare la mostra di Raffaello alle Scuderie del Quirinale. Ma, a parte questo suggerimento forse estemporaneo, tu mi stai dicendo che, a guardare nell’abisso sul cui orlo le due tragedie shakespeariane ci conducono, si scorge un odio che attualmente si rivolge contro tutto quanto hai or ora ricordato e trova nella pandemia l’occasione di sfogarsi nelle risposte datele da chi vuole mantenere intatta l’immagine di onnipotenza che ha di se stesso. In tal modo mi riporti al mio sentirmi impotente e senza speranza di fronte alla minaccia del crollo del mondo in cui ho vissuto, al suo venir consegnato all’oblio dalla tempesta più che perfetta che si sta addensando oltre Oceano, così come la civiltà etrusca, che il tuo Machiavelli, si illudeva di far rivivere, fu consegnata all’oblio dalla potenza di Roma.
AS. Mi dispiace di riportarti a questo, ma debbo rincarare la dose. Il crollo che tu temi è reso ancora più probabile dal fatto che l’odio dei suprematisti è diverso da quello di Macbeth e di Riccardo non solo perché si rivolge ad oggetti diversi, ma anche per maggiore intensità.
S. Cosa lo renderebbe tale?
AS. Ti risponderò con le parole che Shakespeare fa pronunciare a Riccardo a proposito di se stesso: egli dice di essere a tal segno immerso nel sangue che un delitto si trae dietro un altro delitto. Si attiva così un circuito infernale. La deformità di chi, a causa della sua deformità, si sente escluso da oggetti che potrebbero renderlo felice aumenta perché egli si nutre dell’apparenza della loro inesistenza e gli sembra che il solo modo di uscire da questo circuito infernale stia nell’affrettare quell’apocalisse.
S. Hai davvero reso più acuto il mio sentirmi impotente ed inutile. Lascia che sia io stesso a cercare di darmi qualche speranza tornando a parlare di anticorpi. Proprio ora si è levata in America un’ondata di proteste contro la politica di Trump: dovrebbe porre un argine all’incremento dell’odio e frenare il cammino verso l’apocalisse temuta e voluta.
AS. Non ti illudere. Abbattere le statue che celebrano gli eroi del suprematismo bianco non porta a nulla, come a nulla porta la violenza della figlia balbuziente del protagonista di Pastorale americana. Per di più, l’abbattimento di quelle statue implica l’odio nel confronti della storia, l’intenzione di cancellare la coscienza storica, di rendere inesistente il prima: la stessa intenzione che anima il suprematismo cui con quell’abbattimento si pretenderebbe di opporsi.
S. Ma a protestare non è solo la figlia del mercante di guanti.
AS. Lo so, ma mi è capitato di conoscere da vicino americani colti e rigorosamente laici, determinati tuttavia ad escludere e considerare irrilevante e inesistente tutto quanto impedisse loro di viaggiare dritti come un treno verso la realizzazione di un qualche loro progetto, non meno di quanto il fondatore della città sulla collina era determinato a cancellare dalla faccia della terra tutto quanto non rientrasse nei valori di quella città. È come se la loro origine storica costituisca un imprinting che li condiziona al di là dell’appartenenza a un credo. Tutto ciò non può che accrescere la tua convinzione che questo nostro mondo sia predestinato all’oblio.
S. Ora non fare anche tu il Calvinista, non parlarmi anche tu di predestinazione.
AS. Può aiutarmi a non farlo un dubbio che assale Riccardo. Egli si chiede se, quando ogni sozzura assume il sembiante della virtù, possa la virtù conservare il suo aspetto. È un dubbio che vale anche oggi per noi e che non va escluso possa essere sciolto positivamente. Sul fondo dell’abisso su cui ci affacciano le due tragedie shakespeariane è dato scorgere quella stessa speranza che, secondo il mito, resta intatta sul fondo del vaso di Pandora. Che Lady Macbeth insista a volersi mondare le mani del sangue che aveva fatto versare, vuol dire che ha un ricordo del prima. La ricerca del potere cui ella spinge il marito non è fine a sé stessa, tende a risolvere quella deformità in cui ella sembra vedere riflessa una deformità propria. C’era del buono in Linnie come ce ne era in Lady Macbeth. Affrontano la deformità dei loro mariti ritenendo che possa venire risolta, anche se lo fanno in un modo che la rende tragicamente definitiva.
S. Mi stai di nuovo facendo lo psicoanalista. Non era questo che volevo quando ti ho chiesto di aiutarmi a guardare in quell’abisso.
AS. Eppure non possiamo mancare di vedervi anche questo. Non è l’assenza del prima a generare l’odio, è questo a generare l’apparenza della sua assenza. Un’apparenza che non è detto non possa essere a sua volta vanificata. Ciò non significa che quest’esito sia certo, che il nostro mondo umano sia di per sé eterno. Né tu né io possiamo sapere come andrà a finire questa storia.
S. Te lo dirò io. Mi è capitato di trovare su una bancarella di libri usati una copia consunta di Resurrezione di Tolstoj. L’ho comprata per cinque euro, non so perché. Poi, aprendola, ho trovato un perché. Sulla prima pagina bianca c’era uno scritto a matita. Era di una giovane donna che l’aveva composto al capezzale del padre mentre egli vi giaceva morente. Ricordava tutto quanto di bello e di buono da lui aveva avuto prima di quel momento. Poi ho pensato che, se il libro stava abbandonato su quella bancarella, voleva dire che era morta anche lei. Abbiamo parlato di odio e speranza. L’uno e l’altro è come se divenissero irrilevanti nella consapevolezza di come tutto quanto è umano sia effimero. Questa consapevolezza è il Nord che deve guidare le nostre vite e può forse darci la speranza, se non d’altro, di porre un argine all’odio.
AS. Un po’ di speranza può darci anche il fatto che le parole di quella giovane donna siano dopotutto giunte fino a noi questa sera. Ma fermiamoci qui. È ora di andare a dormire con lo sguardo rivolto al tuo Nord portando con noi quelle parole, e vediamo quali sogni faremo.
S. Sono d’accordo. Però, prima, un altro mezzo bicchiere di vino sforzandoci di vederlo ancora mezzo pieno.
Data di pubblicazione:
22/08/2020
Note:
[1] Il riferimento è a: La tempesta perfetta: un dialogo tra uno storico e un amico spaesato in viaggio verso la Toscana. Internet: https://www.journal-psychoanalysis.eu/la-tempesta-perfetta-dialogo-tra-uno-storico-e-un-amico-spaesato-in-viaggio-verso-la-toscana/
Biografia dell'autore:
Luigi Antonello Armando. Dopo essersi laureato in Filosofia teoretica a Roma nel 1961, ha fatto un’analisi personale con Octave Mannoni a Parigi e un’analisi didattica con Benedetto Bartoleschi a Roma. Ammesso come membro associato alla SPI nel 1971, ne è stato espulso nel 1976 per avere reso pubblica la sua critica alla teoria e alla pratica della formazione della SPI in un libro scritto in collaborazione con altri (Il potere della psicoanalisi [Roma: Armando 1973]).
Fin dal 1972 ha insegnato Psicologia generale e Psicologia dinamica nelle Università di Siena, Roma e Napoli e Psicologia della comunicazione nell’Università di Lecce. Attualmente lavora come psicoterapeuta a Roma.
Ha tradotto in italiano testi di Bion (Attention and Interpretation), Bruner (The Process of Education), Dewey (Early Psychological Papers), Erikson (Childhood and Society, Insight and Responsibility, Young Man Luther), Octave Mannoni (Clefs pour l’immaginaire). Ha contribuito a riviste come ‘Nuova Rivista Storica’, ‘Letture di Storia’, ‘Studi filosofici’, ‘Psiche’, ‘Psicoterapia e Scienze Umane’, ‘Pol.it’, ‘European Journal of Psychoanaysis’.
Ha scritto vari saggi, alcuni dei quali raccolti in La ripetizione e la nascita (Napoli: Liguori 2004) e libri su: Freud (Freud e l’educazione [Roma: Armando 1972; trad. in francese Paris: Les Editions ESF, 1974] e Mito e realtà del ritorno a Freud [Roma: Armando 1973; trad. in spagnolo: Buenos Aires: Paidos 1975); Boring (L’invenzione della psicologia [Roma: Nuove Edizioni Romane 1986]); Dewey (Psicologia e filosofia nel primo Dewey [Firenze: La Nuova Italia 1986]), Machiavelli (Principi senza padri: una lettura de ‘Il principe’ [Lecce: Manni 2004]). Tra le sue pubblicazioni più recenti tre saggi su Freud (in ‘Psicoterapia e scienze umane’ 2009/2; 2010/4; 2013/1).